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Quella del poeta Franco Arminio a Parma è stata una serata all’insegna della leggerezza e delle confidenze, nonostante il tema di partenza fosse particolarmente toccante e sentito dai numerosi presenti. A quarant’anni dal terremoto che
il 9 novembre 1983 colpì Parma, l’intervento del poeta e paesologo nella serata di ieri presso il Palazzo del Governatore, si è sviluppato attorno alla sua personale esperienza di vita, quando il terremoto del 1980 mise in ginocchio l’Irpinia, la sua terra.
“La sera che fece il terremoto io stavo bene.
Mi piaceva tutta quella gente per strada,
tutti che si guardavano come se ognuno
fosse una cosa preziosa.
Quando si sono messi a dormire
nelle macchine
mi sono fatto un giro,
li ho benedetti uno per uno”
da Cedi la strada agli alberi, poesie d’amore e di terra
I terremoti, ha spiegato Arminio, come tutte le calamità naturali, distruggono case, vite, portano via lavoro, sicurezze e lasciano ferite molto più profonde delle crepe visibili tra i muri delle case inagibili. In pochi, infatti, parlano delle conseguenze che questi eventi portano con sé, in pochissimi riflettono sulle piaghe sociali che si infiammano quando la terra smette di tremare: una fra le tante su cui Arminio ha sentito l’urgenza di soffermarsi, è quella dello spopolamento dei paesi montani dell’Appennino, borghi delle nostre montagne passati dal dramma della miseria del dopo guerra a quello della desolazione e dell’abbandono degli ultimi decenni. La mancanza di nuove opportunità di vita e dunque di lavoro, ha spinto migliaia di persone a lasciare questi luoghi della memoria di cui nessuno più parla né si preoccupa.
Lo stesso Arminio, che ha scelto di continuare a vivere nel suo paese natale, Bisaccia, in provincia di Avellino, sostiene di essere rimasto in un paese che è ormai andato via, privato di quell’anima che lo abitava prima del terremoto, di quelle persone che vivevano profondamente il paese e non solo la loro casa, di quei profumi e di quei suoni che provenivano dalle botteghe spalancate, di quella vita che correva tra i vicoli stretti senza fermarsi, almeno fino a quando la terra non ha iniziato a tremare. La ricostruzione, ammette Arminio, non è bastata a riportare in vita il paese, al contrario, i soldi investiti hanno contribuito a disanimare questi luoghi: sono state sì ricostruite le case, ma non sono state ricostruite le botteghe, le piazze, le fontane, i luoghi di ritrovo, non sono stati rigenerati quelli che il poeta ha definito i luoghi dell’anima.
Gli anziani sono rimasti soli, senza la possibilità di raccontare e di condividere la loro memoria e il proprio vissuto, i giovani hanno perso i contatti con i dialetti, con le tradizioni, senza percepirne alcuna mancanza o distacco. Ecco, dunque, la necessità di intervenire. Arminio ha sentito il bisogno di spiegare attraverso la sua poesia a chi è rimasto e a chi è andato via che in un paese c’è una sacralità disoccupata, la stessa che c’è dentro di noi: “Bisogna prendere la via dei paesi perché un posto quanto più è piccolo più è grande e quanto più è ai margini tanto è più centrale.”
Il consiglio è proprio quello di visitare questi paesi, di esplorarli da vicino, di respirare la polvere delle case ma soprattutto di ascoltare le storie di chi è rimasto, parlare del più e del meno, del tempo che cambia, della frutta che non è succosa come un tempo e magari anche del terremoto.
“I vecchi dei paesi
sono belli,
parlano una lingua che distende,
hanno un senso di innocenza,
e quando si lamentano
sembra che più nulla ormai li offenda.
Quando voglio stare bene al mondo
io so dove andare:
devo andare in un paese a parlare
con i vecchi”
da Cedi la strada agli alberi, poesie d’amore e di terra
Non ci resta, dunque, che seguire il consiglio di Arminio, metterci in macchina alla ricerca di un piccolo paese e quando lo troviamo andare oltre, fino a trovarne uno più piccolo ancora. Dobbiamo tentare anche noi di esercitare l’arte della paesologia, ovvero l’arte dell’incontrare e raccontare i paesi e i luoghi, esplorarli con gratitudine e senza alcuna fretta.
Francesca Liberatore
(La doppia foto è tratta dalla pagina facebook di Franco Arminio)
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