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Tiriamo le somme dei pochi risultati del summit di Roma e ragioniamo sull’atteggiamento del premier Draghi
I risultati del G20 davvero rilevanti sono pochi, si contano sulle dita di una mano. Anche i principali media, soprattutto stranieri, descrivono il vertice come una “debole riunione” che “non riesce a concordare obiettivi climatici più ambiziosi”. Infatti, non si è distinto per il pugno duro e le ferree imposizioni, ma più per le decisioni blande, flebili e quasi incerte che faticano a distinguersi. Non è stato nemmeno una grande evoluzione rispetto all’Accordo di Parigi (il più importante nella storia del gruppo dei 20 dal 1999 – anno del primo summit – a oggi), ma un suo continuo sulla scia tracciata nel 2015.
Le priorità mondiali del vertice, sintetizzate nella frase “People, Planet, Prosperity”, insieme alle sfide mondiali vengono presentate in una lunga lista nel comunicato finale. Gli ambiti vanno dalla salute all’ambiente e dalla sicurezza del cibo alle disuguaglianze.
Gli accordi sul clima del G20
- Il mantenimento della soglia dei 1,5 gradi per il riscaldamento globale.
- Obiettivo zero emissioni nette di gas serra (un primo impedimento si è verificato quando i Paesi del G20 hanno confermano la deadline del 2050; Cina e altri paesi, però, si sono opposti fermamente e hanno proposto il 2060).
- Lo stop ai finanziamenti delle centrali a carbone (il suo uso per la produzione di energia è una delle principali cause di emissioni di CO2, di effetto serra e del surriscaldamento globale).
- 100 miliardi stanziati per il fondo green (l’Italia, ha detto Draghi, triplicherà il suo impegno finanziario arrivando a 1,4 miliardi all’anno per i prossimi cinque anni).
- Piantare 1.000 miliardi di alberi entro il 2030.
Il vero limite che emerge dal G20 non è tanto la quantità delle decisioni siglate, ma la loro genericità. Questi accordi, infatti, non hanno una scadenza precisa, né si basano sul rispetto di deadline poco flessibili. Anzi, l’unica decisione per cui si intravedeva uno spiraglio di speranza (il secondo punto, l’obiettivo zero emissioni), cioè la scadenza del 2050, è stata abbandonata per dare spazio al vago “entro e non prima del 2060“.
I sogni in una moneta: “Mario, come here”
L’ immagine che ricorderemo più di tutte di questo G20, la più social, è senz’altro quella raffigurante il lancio della monetina dei capi di stato nella Fontana di Trevi. È una fotografia che abbraccia i concetti di sogno e speranza – il rito vuole infatti che prima di lanciare la moneta dietro le spalle venga espresso un desiderio. Ma “per sognare” in contesti come questi non bastano gli spiccioli, c’è bisogno di soldi, veri e tangibili, che per fortuna non sono il problema. Draghi dice che questa volta non mancano.
Il sogno, una rappresentazione che questo G20 riesce difficilmente a scrollarsi di dosso, ritorna nel discorso finale del premier Draghi che, ottimista e soddisfatto, afferma: “È stato un successo. Teniamo vivi i sogni”. Una frase che, insieme all’atteggiamento propositivo assunto dal Presidente del Consiglio durante tutta la durata del vertice, gli è valsa l’appellativo di “tessitore“. L’aggettivo però stride con il personaggio costruito attorno a Draghi in tutti questi anni: l’imperturbabile e cinico del “Whatever it takes”, in piena regola con il suo ruolo di banchiere prima della Banca d’Italia, e poi di quella europea.
Avrà un’anima anche lui e soprattutto delle emozioni, anche se finora difficilmente ha voluto o è riuscito a manifestarle. Forse con il G20 di Roma, da padrone di casa che si rispetti, si è sentito in dovere di prendere in mano le redini della situazione costi quel che costi, appunto. Viene da chiedersi, a giochi fatti, se non sarà stato il momento sbagliato e meno opportuno in cui cambiare il proprio paradigma costruendo una retorica del sogno e della speranza.
La realtà si discute a Glasgow?
Per ora bisogna frenare gli entusiasmi e stare comunque coi piedi per terra. Il tempo della speranza e dei sogni, ormai, non può coincidere con l’oggi e tantomeno con il domani.
Adesso la palla è passata a Glasgow, distante più di 2.510 km da Roma. La speranza è che la distanza tra i due eventi non riguardi solo i chilometri, ma anche le decisioni prese. Decisioni che devono essere lontane perchè differenti tra loro e che devono fare della specificità il loro punto fermo.
Staremo a vedere se almeno la Cop26 riuscirà a porre una volta per tutte delle basi solide per contrastare il cambiamento climatico e, più che sognare un domani, agisca plasmandolo concretamente, e in fretta.
Sara Ausilio
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