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California: buchi nel sistema di controllo inquinamento – Il caso New Forest e altri progetti controversi (parte 3)

3 ' di lettura

Nella seconda parte dell’inchiesta è emerso che 65 progetti analizzati dalla CarbonPlan, fondamentale nel documentare e analizzare le falle del sistema californiano, hanno ricevuto più crediti rispetto a quelli che realmente si meritavano. I ricercatori hanno poi scoperto che la maggior parte di questi progetti erano sovrastimati, proprio per i difetti dello stesso sistema. Due di questi appartengono al gruppo della New Forest. Questa terza e ultima parte dell’inchiesta si concentrerà quindi nello specifico sui progetti di alcune società. Perché i buchi nel regolamento californiano danno benefici soprattutto a chi presenta i progetti e in questo caso i dubbi sono decisamente troppi.

I progetti della New Forest

La New Forest ha il merito di essere la prima società a gestire il primo progetto ufficiale del programma di controllo sull’inquinamento. Il piano prevedeva la registrazione di 7660 acri di foreste nella zona collocata vicino alla riserva Yurok. In questa zona della costa occidentale, che si estende per più di 40 miglia lungo il fiume Klamath, vivono appunto gli Yurok, gruppo di nativi americani presenti in California. Lo Stato ha promulgato circa 700mila crediti per il primo anno del progetto. Il valore economico è di 9,6 milioni di dollari a tassi recenti. L’inchiesta portata avanti dalla CarbonPlan ritiene che ci sia stata una valutazione più alta del normale.

Il fiume Klamath, tra l’Oregon e la California

Il motivo è da ricercare come avevamo raccontato nell’articolo precedente nella questione dei confini del territorio californiano. Grazie alle falle del sistema la New Forest ha guadagnato più di mezzo milione di crediti fantasma, stimato in 6,5 milioni di dollari. Non si tratta di una casualità anzi il sospetto che ci siano persone consapevoli del problema relativo ai confini delle foreste della California non può essere accantonato. La società ha difeso le sue azioni assicurando che i progetti presentati hanno “preservato gli stock di carbonio esistenti e rimosso anidride carbonica dall’atmosfera attraverso la successiva crescita degli alberi come confermato tramite la verifica di terze parti”.

I nativi americani e il regolamento californiano

Durante un webinar nel 2015 organizzato da un’organizzazione no profit specializzata nel settore delle compensazioni si consideravano centrali all’interno dei programmi sulle emissioni californiane le tribù dei nativi americani. Negli ultimi dieci anni circa, i nativi americani hanno lentamente riacquistato decine di migliaia di acri del loro territorio. Si ritiene che il progetto Yurok abbia “beneficiato del credito eccessivo e che il guardaboschi della tribù Yurok era consapevole di come gli aspetti specifici delle regole del protocollo criticate avrebbero portato a possibili profitti”. Il portavoce degli Yurok, Matt Mais, afferma però che le tribù hanno sempre agito in buonafede.

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Mappa delle tribù dei nativi americani nello stato della California. A nord troviamo gli Yurok, coinvolti nel progetto della New Forest

Molte tribù hanno effettuato il disboscamento in modo meno aggressivo dei loro vicini. Le loro foreste sono ricche di carbonio e pronte per grandi richieste di crediti. Tra i 13 progetti di New Forests analizzate dai ricercatori di CarbonPlan tra il 33 %e il 71 % dei crediti non rappresenta una reale riduzione del carbonio. Si tratta di quasi 13 milioni di crediti. Non ci sono prove concrete sulle azioni della New Forest e di come abbiano raggirato il sistema dei crediti, ma secondo uno dei ricercatori della CarbonPlan c’è stato “comportamento deliberato per trarre vantaggio dalle carenze nei protocolli delle compensazioni”.

Oltre la New Forest: altri furbi?

La CarbonPlan si sofferma poi su altri progetti. L’obiettivo è sempre quello di presentare un progetto lungo dei confini della California che sono favorevoli a un maggior guadagno di crediti rispetto al tipo di foresta. I nomi citati sono quelli della Bluesource e della Finite Carbon. Si è scoperto che i progetti avanzati dagli sviluppatori di queste aziende non hanno portato a una riduzione effettiva delle emissioni. La beffa però è che da tutta questa situazione sono stati generati 24 milioni di crediti. Alle accuse mosse dalla CarbonPlan la Finite Carbon ha preferito non rispondere. La Bluesource nella figura di Emily Six, responsabile del marketing e della comunicazione, ha negato questa possibilità, respingendo al mittente la violazione delle regole californiane. C’è però anche il parere di chi si è schierato non solo con i proprietari terrieri ma anche con gli stessi sviluppatori dei progetti.

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I co- fondatori di Silviaterra: da sinistra Max Nova e Zack Parisa

Zack Parisa è amministratore delegato della SilviaTerra. Quest’ultima è un consulente per gli sviluppatori dei progetti che si iscrivono all’interno del sistema dei crediti. Parisa ritiene che proprietari e sviluppatori non siano la causa di tutto questa situazione. “Se qualcuno si presenta e offre un contratto per l’acquisto di carbonio e non richiede loro di cambiare nulla su come agiscono le foreste, è denaro gratuito e sarebbero stupidi a non prenderlo”. Come dargli torto. Se il sistema dei crediti permette un guadagno per le aziende coinvolte chi sono loro per modificare un regolamento sbagliato? Spetta all’ente californiano prendere atto non solo degli errori del regolamento ma anche dell’immobilismo di fronte a quantità di emissioni di CO2 più elevate del normale. Le falle dei crediti ci sono e sono alla luce di tutti, grazie al lavoro svolto dalla CarbonPlan.

Andrea Cicalò

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