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Quando, circa un anno fa, si è iniziato a fare un uso massiccio del termine “Intelligenza artificiale”, alcuni si sono spaventati, credendo che i computer avrebbero preso il nostro posto di lavoro (che poi…), altri si sono subito preoccupati per gli aspetti tangibili della cosa, ovvero quelli legali e sociali, poi è toccato a noi e ci siamo messi a fare dozzine di meme con la faccia di Gerry Scotti[1].
Non tutti però
hanno sottostimato la portata dell’innovazione dell’AI. Al di là dell’informatica, la medicina è il settore in cui essa trova la sua applicazione forse migliore, aumentando le capacità dei medici di analisi, interpretazione e diagnosi di qualsiasi disturbo. Tutto ciò mentre noi sfruttavamo il motore di ChatGPT per chattare con Padre Pio[2].
Ad oggi però, l’argomento è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in campo musicale e non in qualità di software come autotune e simili. Da un po’ di tempo rimbalzava la voce che sarebbe arrivato un nuovo brano dei Beatles completato grazie alle moderne tecniche di AI. Immediatamente le voci hanno iniziato a rincorrersi, al grido di la voce di John è un algoritmo. La storia però racconta altro.
Nel 1994, Yoko Ono trova delle cassette registrate da John Lennon con quattro brani che erano stati abbozzati in alcune versioni voce e piano o voce e chitarra (John non sapeva scrivere sul pentagramma, questo era il solo modo che aveva per “fermare” le sue idee). Sulle cassette c’era scritto “For Paul”, così la nippona che il gruppo scompiglia[3] invia tutto a McCartney. I quattro brani erano Grow old with me, Free as a bird, Real love e Now and then. Se la prima era stata già inclusa così com’era in “Milk and Honey”, album del 1984 di Ono-Lennon, i due brani successivi andarono ad arricchire due delle tre “Anthology” dei Beatles, una nel 1995 e una nel 1996. Ma “Now and then”, che avrebbe dovuto aprire la terza, rimase nel cassetto.
Troppo rovinato il brano, troppo confusionario. Le tecniche di registrazione dei mid-90’s non consentivano di recuperare la voce di John senza contestualmente aumentare il volume anche del pianoforte. O tutti e due, o niente. George Harrison provò a registrare delle tracce in studio, ma dovette arrendersi e definire la demo “fuckin’ rubbish”.
Da qui in poi passano circa 25 anni ed entra in scena Peter Jackson, il regista de “Il signore degli anelli”, uno che qualcosina ne capisce in quanto ad effetti speciali. Nel 2020 Jackson realizza “Get back”[4], il mega documentario sulla nascita di “Let it be” e sui 21 giorni che i Fab Four passano in studio di registrazione, sperimentando l’IA per isolare le voci dal brusio generale e carpire anche la minima parola dei Beatles. Perché questo, adesso, si può fare. Macca e Ringo Starr allora capiscono che i tempi sono maturi per tornare a lavorare su “Now and then” ed affidano la cassetta proprio al team di Jackson, che riesce a separare e ripulire la traccia di voce e quella di piano. Mentre noi ci accanivamo su Giuliano Amato nel Comitato algoritmi[5].
Come racconta lo stesso McCartney nel documentario[6] che accompagna l’uscita del brano, ascoltare la voce di John Lennon in maniera così cristallina è stato un colpo al cuore. Ora però bisognava affrontare un altro problema, ovvero che nel 2001 anche George Harrison è morto, e andavano recuperate anche le tracce registrate nel 1996. Ma ormai nulla è più così complicato. Giles Martin, figlio di George, storico produttore del quartetto di Liverpool, si inserisce dietro il banco mixer e la base è pronta. Ora tocca solo ai Fab Two, ai due rimasti, a Ringo e Paul, che in tempi relativamente brevi riescono a confezionare ed incidere le loro parti. Paul si occuperà anche della parte orchestrale, maestosa ed imponente, in pieno stile maccartiano.
Il risultato, da ieri, è disponibile ovunque e per tutti. Struggente, toccante, beatlesiano fino al midollo, ma qui è tutta “colpa” di Paul. Non c’è alcuna traccia di algidità robotica, forse un filo di sovrapproduzione ma questo è un discorso tecnico che nulla ha a che fare con l’intelligenza artificiale. La voce di John è pulita e in primo piano, ed è impressionante il fatto che una macchina sia riuscita in un’opera in cui spesso anche i nastri master opportunamente conservati nei caveau delle case discografiche falliscono. Alcuni “remaster”, anche dei Beatles, infatti aggiungono poco a quanto si è già ascoltato ma qui stiamo parlando di altro. Ed è interessante notare come lo stesso procedimento di “pulizia” sia stato adottato anche nei live che arricchiscono la ristampa di “In Utero” dei Nirvana che compie 30 anni in questi giorni.
È solo l’alba di una nuova era musicale, e chissà su quali altri brani e dischi, e campi e settori e tanto altro la tecnologia dell’intelligenza artificiale potrà mettere le mani e portarli allo splendore, mentre noi godremo dei frutti lamentandoci che era meglio prima, quando sognavamo le innovazioni che oggi non riusciamo a comprendere.
[1] https://www.instagram.com/thousandgerry/
[2] https://www.wired.it/article/bot-chattare-santi-prega-org/
[3] Da “Litfiba tornate insieme” di Elio e Le Storie Tese https://www.youtube.com/watch?v=o6pJxYO3MNc
[4] https://www.disneyplus.com/it-it/series/the-beatles-get-back/7DcWEeWVqrkE
[5] https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/10/20/a-85-anni-giuliano-amato-sara-il-presidente-della-commissione-algoritmi-studiera-limpatto-dellia-nel-mercato-delleditoria/7328937/
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