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Un unico interesse nella vita: cucinare. Promette poco la prima fotografia del protagonista di “Dna chef” di Roberta Lepri. E invece, proprio come al ristorante per certi piatti, occorre attendere il retrogusto, che è qui intenso e
saporitissimo, da vero chef e da vera femme chef della parola.
Essere “cucinati” dalla trama, dai flash-back e dalla scrittura della Lepri è piacevolissimo. Pagina dopo pagina la storia si compone e si arricchisce di sapori: il rinomato chef Guido, monomaniacale come lo avevamo conosciuto alla fine, si trova a un certo punto “costretto” a ricostruire una storia familiare che aveva portato il nonno fiorentino alle Tremiti, al confino. E nello scenario triste della guerra, e del confino che verrà in qualche modo rinnovato dal lockdown imposto dalla pandemia a tutti ben nota, la riscoperta di Guido si lega ad un piatto: tagliatelle al sugo di ricci.
Una delizia “inventata” a Londra da Guido e in realtà “ereditata” da quel nonno. Una tagliatella che a questo punto racchiude in sè il sapore non solo di una azzeccata creazione gastronomica ma anche di una intera storia di famiglia, nella quale forse non è ancora troppo tardi per ritrovare anche i valori, oltre ai sapori.
Nel mezzo c’è tanto altro: intensa ed efficacissima, ad esempio, risulta la storia e la figura di Vittorio. Ma qui è giusto che le parole del lettore si fermino, lasciando ad altri lettori e lettrici il piacere di sedersi “a tavola”, per gustarsi fino in fondo tutto il sapore letterario di “Dna chef”.
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