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Dieci anni fa la Costa Concordia affondava all’Isola del Giglio

6 ' di lettura

La sera del 13 gennaio 2012 la nave da crociera Costa Concordia urtava alcuni scogli a largo dell’Isola del Giglio. L’impatto creò uno squarcio di oltre 50 metri nello scafo delle nave che, poche ore più tardi, affondò fino a poggiare un fianco sul fondo del Tirreno. Il bilancio finale fu di 32 vittime e 110 feriti. A dieci anni di distanza, ripercorriamo gli eventi del “Titanic italiano”, il più grande naufragio di una nave passeggeri della Storia.

La Costa Concordia

Con i suoi 290 metri di lunghezza e 35 di larghezza, nel 2012 la Costa Concordia era la più grande nave in servizio di Costa Crociere. Costruita dalla Fincantieri di Genova e costata 570 milioni di dollari, era di fatto una piccola città galleggiante: nei suoi 13 ponti c’erano oltre 2mila cabine, diversi ristoranti e piscine, un teatro, un casinò e molte altre strutture. In totale, poteva ospitare fino a 4.880 persone. La sera del 13 gennaio, fra passeggeri ed equipaggio, a bordo ce ne erano 4.229.

Il suo viaggio inaugurale avvenne il 9 luglio 2006 sotto la guida del comandante Francesco Schettino, lo stesso che qualche anno dopo sarà responsabile del suo affondamento. Una fine che molti, col senno di poi, hanno considerato un destino inevitabile, dato che al momento del varo della nave la bottiglia tradizionalmente lanciata contro lo scafo non si ruppe. Un chiaro segno di sventura, secondo la legge del mare.

L’ultimo viaggio della Concordia

La Concordia era salpata l’11 gennaio dal porto di Cagliari e, dopo un breve scalo a Palermo, era arrivata a Civitavecchia. Da lì, nel tardo pomeriggio del 13 gennaio oltre 4mila persone partirono per quella che sarebbe dovuta essere una crociera di sette giorni nel Mediterraneo. Una crociera che però, com’è tristemente noto, si sarebbe conclusa poche ore dopo.

Il piano di navigazione prevedeva il passaggio della Concordia a metà strada tra il promontorio dell’Argentario e l’Isola del Giglio. Questo avrebbe portato la nave a procedere a poca distanza dalla costa tirrenica e parallelamente alla stessa, passando per un tratto di mare abbastanza profondo.

Il percorso programmato per la Costa Concordia (Fonte: Il Post)

La rotta ufficiale, però, venne modificata dal comandante Schettino poco prima della partenza per eseguire il cosiddetto “inchino”, una manovra che avvicina la nave alla terraferma per compiere una sorta di saluto all’Isola del Giglio. Inventata nel ’93, questa manovra non è di per sé nulla di eccezionale o pericoloso. Inoltre, era già stata effettuata in passato con la stessa Concordia. Solitamente viene eseguita a fini promozionali – mostrare il logo di Costa Crociere a chi soggiorna sull’isola –, e per permettere ai passeggeri di godere della bellezza della costa illuminata.

La sera di quel 13 gennaio, però, questi motivi non sembravano avere ragione di esistere. La fine delle festività natalizie, infatti, aveva già allontanato i turisti dall’isola e le uniche luci visibili erano quelle dei pochi abitanti del luogo. Per questo motivo molti hanno pensato che dietro il fatale “inchino” ci fosse in realtà un’altra spiegazione. L’ipotesi che all’epoca andò per la maggiore riconduceva la decisione di Schettino al desiderio di fare colpo sulla giovane Domnica Cemortan, ex ballerina e hostess di Costa Crociere presente in plancia al momento dell’impatto. Le dichiarazioni emerse nel processo tenutosi dopo la tragedia, però, hanno smentito questa accusa, attribuendo la decisione a un favore fatto al maître di bordo Antonello Tievoli, desideroso di salutare con un “inchino” l’isola di cui era originario.

L’impatto sugli scogli: l’inizio della tragedia

Alle 21:39 il comandante Schettino afferrò il timone per eseguire personalmente l’“inchino”. La velocità sostenuta della nave e la scarsa visibilità dovuta all’oscurità gli nascosero, in un primo momento, la presenza di alcuni scogli – le cosiddette Scole. Quando Schettino li vide era già troppo tardi: la sua sterzata, per quanto rapida, non fu sufficiente a evitare l’impatto. L’urto aprì sullo scafo uno squarcio di oltre 50 metri, al termine del quale rimase incastrato anche una parte di scoglio.

Nel giro di pochi minuti l’acqua, passando attraverso lo squarcio, iniziò ad allagare tre compartimenti, mettendo fuori uso l’impianto elettrico – e con esso il timone – e la sala macchine. A quel punto entrarono in funzione i generatori di emergenza, sufficienti però a fornire energia solo per poche luci e alcuni strumenti. I motori della nave, invece, erano già fuori uso, e la Concordia procedeva in direzione opposta alla costa spinta dall’inerzia e dal vento di quella sera.

Il comandante Francesco Schettino e la Costa Concordia

Il comandante Schettino, benché prontamente informato della gravità del danno riportato, decise di non dare subito l’allarme, né ai passeggeri né alla Guardia costiera. A posteriori, gli esperti hanno sostenuto che la decisione opposta avrebbe garantito la salvezza di tutte le persone a bordo. Il comando, invece, difronte al blackout generato dall’acqua entrata nella sala macchine rassicurò i passeggeri comunicando loro la presenza di un semplice “problema tecnico” che sarebbe stato riparato in breve tempo.

Se, per quanto moralmente sbagliato, l’iniziale silenzio nei confronti dei passeggeri può essere quantomeno compreso – dichiarare l’emergenza avrebbe sicuramente generato un “panico da Titanic” che avrebbe complicato qualsiasi tipo di operazione –, totalmente imperdonabile e ingiustificabile è il mancato allarme dato alla Guardia costiera. Quest’ultima, infatti, fu informata dell’accaduto dai carabinieri, allertati dai passeggeri e dai parenti di alcuni di loro che li avevano chiamati preoccupati, e iniziò a mandare i primi soccorsi in attesa di comunicare con il comando di bordo. Anche a loro, però, il comando della Concordia dichiarò inizialmente di aver avuto un semplice blackout.

Mezz’ora dopo l’impatto, ad aiutare la Concordia intervenne una fortunata coincidenza

Alle 22:10 i passeggeri e l’equipaggio erano ancora all’oscuro dell’accaduto, la Concordia imbarcava sempre più acqua e Schettino era ormai certo che la nave sarebbe affondata. Ciononostante esitò ancora a dare l’allarme, dimostrandosi non all’altezza del comandante esperto e preparato che era stato fino a quella tragica sera.

In quel momento, però, ad aiutare la Concordia intervenne una fortunata coincidenza: il vento della sera – il Grecale – soffiò in modo tale da spingere la nave nuovamente verso la costa. Che lo si voglia chiamare destino, coincidenza o semplice fortuna, il risultato non cambia: quel movimento segnò in positivo le sorti della Concordia e dei suoi passeggeri. Avvicinandosi alla costa, infatti, la nave – che a quel punto aveva già iniziato a inclinarsi sul lato destro -, poté appoggiarsi in un’area con un basso fondale. Questo impedì un bilancio decisamente peggiore: se la nave fosse affondata a largo della costa – e dunque in acque più profonde – il numero di vittime sarebbe stato con ogni probabilità di gran lunga superiore a 32.

Questa provvidenziale coincidenza, però, non impedì alla nave di affondare

Per questo era già troppo tardi. Schettino ne era perfettamente consapevole e così, alle 22:33, diede finalmente l’allarme generale. L’ordine di abbandonare la nave, però, venne dato solo alle 22:54, più di un’ora dopo l’impatto e con la Concordia già inclinata di oltre 20°.

Le operazioni di sbarco avvennero nella più totale confusione: il panico generale, il buio e l’inclinazione della nave che impedì l’utilizzo di alcune scialuppe – quelle utilizzabili furono infatti costrette a fare la spola tra la nave e l’isola – complicarono ogni cosa. Alle 23:11 la Concordia toccò il fondale marino e alle 23:19, dopo aver calato le ancore per assicurare la posizione della nave, Schettino abbandonò la nave con a bordo ancora centinaia di passeggeri. Il gesto più disonorevole che un comandante possa compiere.

Nelle ore successive avvenne la telefonata diventata il simbolo della tragedia

La telefonata era fra Francesco Schettino e Gregorio De Falco, il comandante della Capitaneria di porto di Livorno. In quella chiamata rimasta celebre De Falco ordinò a Schettino, in quel momento al sicuro su una scialuppa, di tornare sulla Concordia per aiutare i passeggeri ancora a bordo a lasciare la nave. Del suo ritorno sulla nave, però, non furono mai trovate prove. Con buona pace della regola aurea del mare secondo cui “un capitano affonda sempre con la sua nave”.

Telefonata fra il comandante Francesco Schettino e il comandante Gregorio De Falco

La mattina del 14 gennaio, con i soccorritori ancora in cerca di sopravvissuti, le luci dell’alba svelarono l’esito della tragedia: la Costa Concordia giaceva sul fianco a largo dell’Isola del Giglio, con a bordo ancora decine di persone. Alcune di queste furono ritrovate vive, ma per 32 di loro – 27 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio – non ci fu nulla da fare.

La storia della Costa Concordia, però, non era ancora finita

Finì solo a qualche anno di distanza, dopo una lunga e complicata serie di operazioni per la rimozione e lo smantellamento del relitto. Le operazioni iniziarono ufficialmente il 16 settembre 2013, lasciando involontariamente per alcuni mesi ai turisti la possibilità di scattarsi delle foto di dubbio gusto con quel che restava della Concordia. Il primo compito fu raddrizzare la nave che, qualche mese più tardi, venne trainata nel porto di Genova per essere completamente smantellata. Qui, durante i lavori, fu anche ritrovato il corpo dell’ultima vittima della tragedia, il cameriere Russel Rebello. Le operazioni rivelarono inoltre l’entità dei danni provocati dal naufragio sia all’esterno che all’interno della nave.

Sul piano legale, invece, la vicenda della Costa Concordia si concluse nel 2017 con la condanna di 9 persone ritenute a vario titolo responsabili del naufragio. Per il comandante Schettino arrivò una condanna a 16 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio colposo, abbandono di nave e false comunicazioni. Oggi, dieci anni dopo quel fatidico 13 gennaio e cinque di detenzione, Schettino si sta preparando a richiedere misure alternative al carcere. La condotta esemplare mostrata nei suoi anni di reclusione a Rebibbia e la revisione del processo chiesta dai suoi legali alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo potrebbero giocare a suo favore.

Quale sarà il destino di Schettino lo scopriremo solo nei prossimi mesi. La giornata di oggi, invece, è dedicata a tutti gli altri protagonisti di quella notte di dieci anni fa: a chi non c’è più, ai soccorritori e ai tanti che, fortunatamente, quella notte possono ancora raccontarla.

Giulia Battista

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