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Kyle Rittenhouse, che uccise con un fucile due persone durante le proteste in favore del Black Lives Matter, in Wisconsin, è stato dichiarato non colpevole. Il suo è soltanto uno dei tanti casi di un sistema giudiziario imperfetto.
L’assoluzione che ha sconvolto gli Stati Uniti
Assolto da ogni accusa. Kyle Rittenhouse, il diciottenne che lo scorso anno uccise due manifestanti che protestavano in favore del Black Lives Matter, è stato dichiarato non colpevole. La sentenza, pronunciata nello Stato americano del Wisconsin, rischia di riaccendere le tensioni razziali mai sopite negli Stati Uniti. Sebbene i due uomini uccisi, Joseph Rosenbaum e Anthony Huber, siano bianchi, secondo molti la sentenza è il risultato di un sistema giudiziario in cui il razzismo è intrinseco, e avvolge tutti, dalla polizia alla magistratura.
L’evento dello scorso agosto avvenne durante i disordini nella città americana di Kenosha, due giorni dopo che un ufficiale di polizia sparò a Jacob Blake, un afroamericano. Rittenhouse, all’epoca diciassettenne, nonostante sostenne di aver agito per legittima difesa contro i manifestanti, arrivò dall’Illinois armato di fucile d’assalto con l’intento di “proteggere alcune proprietà dal rischio di vandalismo”. Incriminato con cinque capi di accusa, tra cui omicidio premeditato che gli sarebbe valso l’ergastolo, ma alla fine è prevalsa la tesi della difesa.
Un caso familiare: George Zimmerman e l’omicidio di Travyon Martin
Se la sentenza Rittenhouse è stata un duro colpo per la comunità afroamericana e non solo, non è tuttavia l’unico episodio in cui il sistema giudiziario americano ha dimostrato di avere un background razziale alle spalle. Il 13 Luglio 2013, George Zimmerman, che aveva ammesso l’omicidio di un ragazzo nero di 17 anni, è stato dichiarato non colpevole secondo un tribunale di contea della Florida. Il ragazzo, Trayvon Martin – che non aveva precedenti penali – era disarmato. Zimmerman, all’epoca vigilante delle ronde di quartiere, decise di scendere dalla macchina e andargli incontro, convinto che fosse un ladro. Tra i due ci fu uno scontro e il vigilante sparò un colpo di pistola, colpendo al cuore Martin e ferendolo a morte.
Nonostante avesse ammesso l’omicidio nel suo primo interrogatorio, il suo arresto venne deciso sei settimane dopo. Da quanto si apprende dalle registrazioni fornite dalla Polizia di Sanford, l’uccisione di Martin era avvenuta a sangue freddo, senza alcuna azione minacciosa o violenta. Ciò bastò per accusare Zimmerman. Inoltre, nel corso del processo emersero delle fotografie mostrate dalla difesa, che mostravano il volto del vigilante segnato da diverse lesioni. Queste immagini hanno rappresentato un elemento importante nella decisione della corte a sostegno della tesi di legittima difesa.
La legge “Stand Your Ground”: la grave macchia del sistema giudiziario americano
La domanda è lecita: negli Stati Uniti basta dichiarare di aver agito per legittima difesa per essere prosciolti da un’accusa di omicidio? Tecnicamente sì. Il principio del cosiddetto “Stand Your Ground”, approvato in diversi stati americani, non prevede una dinamica aggressione-reazione, ma permette di sparare anche se ci si sente soltanto minacciati. La legge – una delle più permissive e controverse del Paese – garantisce l’immunità a chi spara anche solo con “il ragionevole timore” di essere in pericolo di vita, o di essere ferito gravemente.
La legge è scagionante soprattutto per la polizia americana, poiché prevista nel loro addestramento. Si chiama “Fear-based training” ed è un approccio che insegna ai poliziotti ad agire ancora prima che la minaccia si manifesti, invece che a reagire. I dati ci dicono che negli Stati Uniti, dal 2013 al 2019, il 99 per cento delle uccisioni compiute da agenti in servizio non hanno avuto ripercussioni penali.
Le tante vittime di un sistema giudiziario imperfetto
Joseph Rosenbaum, Anthony Huber, Jacob Blake e Travyon Martin sono poche delle tante vittime che non hanno avuto giustizia. Nel 2014 un agente di polizia soffocò Eric Garner perché vendeva sigarette di contrabbando. Nello stesso anno, un diciottenne, Michael Brown, fu ucciso durante un controllo in auto nel Missouri. Nel 2016, anche Philando Castile fu ucciso a un posto di blocco pochi secondi dopo aver pacatamente detto di possedere una pistola. Queste vicende hanno in comune due cose: la prima è che tutte le vittime erano disarmate. La seconda è il fatto che le persone coinvolte non sono mai state ritenute colpevoli. L’agente che ha ucciso Garner non è stato nemmeno incriminato, mentre il poliziotto che ha sparato a Castile è stato assolto.
Perché la sentenza Rittenhouse è anche legata a un problema di razzismo istituzionale
“Se un tizio nero fosse entrato a Kenosha, da fuori città, con un fucile da guerra, uccidendo due persone e ferendone gravemente una terza, il verdetto sarebbe stato molto diverso”.
La provocazione scritta su Twitter di Tim O’Brien, editorialista di Bloomberg, chiaramente stride e sembra essere fuori luogo in funzione del ricordo dei due attivisti bianchi uccisi. Tuttavia, c’è un’altra sentenza che arriva parallelamente a quella di Rittenhouse. Da pochi giorni, Kevin Strickland, un afroamericano condannato per triplice omicidio da una giuria di bianchi senza prove, è libero dopo 43 anni. Il suo caso è ad oggi una delle più lunghe detenzioni di un innocente nella storia di tutti gli Stati Uniti. La similitudine è palese: così come una giuria di suprematisti bianchi ha subito condannato Strickland senza uno straccio di prova, “la stessa”, con uguale facilità, ha assolto Rittenhouse.
Ancora più chiaro è stato Justin Blake, zio di Jacob, l’afroamericano ucciso da un ufficiale di polizia, evento per cui Joseph Rosenbaum e Anthony Huber protestavano lo scorso agosto. Per lui “La sola speranza rimasta era legata alla giuria popolare, ma poi l’hanno nominata in fretta e furia”.
La serenità di Joe Biden e una macchia difficile da cancellare
Il presidente USA Joe Biden ha fatto un appello alla calma dopo l’assoluzione del giovane. “Il verdetto ha fatto precipitare numerosi americani nella collera e nell’inquietudine, me compreso”, ha dichiarato in un comunicato. Ma, ha aggiunto: “Faccio appello a tutti a esprimere le proprie opinioni pacificamente, nel rispetto della legge”.
Le dichiarazioni circostanziali di Biden sono inequivocabili a livello comunicativo, ma è chiaro che il sistema giudiziario americano presenta una macchia difficile da cancellare.
Secondo i dati raccolti da Amnesty, gli Stati Uniti che premono sugli altri Paesi per il rispetto dei diritti umani, spesso sono i primi a violarne i principi, con un sistema giudiziario duro fino alla brutalità. Un sistema che consente “abusi compiuti dalla polizia e dalle guardie carcerarie con strumenti tecnologicamente avanzati quali attrezzature da elettroshock e spray irritanti”, che prevede una “pena di morte spesso inflitta in modo arbitrario, iniquo e razzista“, che autorizza “un crescente ricorso alla carcerazione dei richiedenti asilo”.
Pasquale Ambrosino
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