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L’astensionismo indebolisce la democrazia

4 ' di lettura

Alle elezioni amministrative 6 italiani su 10 disertano le urne e vince la sinistra, c’è un nesso tra i due eventi?

«Vot’Antonio, Vot’Antonio, Vot’Antonio, Vot’Antonio!» era il parodistico slogan di auto-propaganda che, con il megafono, ripeteva Totò nel film “Gli Onorevoli”. Erano gli anni ’60, gli anni dell’attivismo politico “infuocato” fatto di proteste e manifestazioni – molte volte violente – ma sicuramente mosse da ideologie importanti e portanti per la società di quegli anni. Oggi, sono passati quasi sessant’anni e le dinamiche politiche, sociali e di voto sono cambiate profondamente.
Nel panorama contemporaneo, guida le fila l’astensionismo politico ormai un fenomeno consolidato e radicato. Dagli anni ’70 e più concretamente negli anni ’90, è una piaga pesante della società che grava sulla democrazia e che la logora lentamente. A ogni elezione si ripresenta quando gli elettori non si presentano.

L’importanza del voto

Per una parte della società non c’è una sostanziale differenza tra l’andare a votare o meno. Anzi, il non voto è visto come qualcosa di normale.
E’ come se con il passare degli anni fosse venuto a mancare il collante che tiene unita la democrazia. La partecipazione è crollata sempre di più fino ad arrivare a raggiungere i minimi storici, proprio come è avvenuto con le ultime elezioni.

Se si analizza il voto da un punto di vista storico e sociologico, il traguardo del suffragio universale – esteso indistintamente a uomini e donne di ogni ceto sociale – è stato un processo difficile e tortuoso. La data simbolo per l’Italia è il 1945, neanche troppi anni fa. Uomini e donne hanno difeso un diritto e un dovere così importante su cui si fonda la nostra democrazia. Per questo, “non andare a votare è in primo luogo una mancanza di rispetto. Astenersi vuol dire voltare le spalle alle generazioni passate senza riconoscerne gli sforzi.

Riflettere sulla questione del recarsi alle urne pare sia qualcosa che riguardi semplicemente la sfera politica e l’attivismo, ma non è proprio così. Il voto del singolo cittadino è un atto di democrazia. Un’azione vera, concreta e tangibile che implica uno sforzo, neanche troppo difficile, e che racchiude un universo di valori. Ogni cittadino dovrebbe sentire uno stimolo che lo muove ad andare a votare, come un bisogno innato da assecondare per il bene della comunità.

Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi.

Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere
di Linda Laura Sabbadini

Secondo un’indagine ISTAT, il numero degli astenuti è aumentato costantemente dal 1976 (riguardava il 6,6% dell’elettorato), fino alle ultime consultazioni del 2001 (cioè il 18,6% degli aventi diritto al voto). Se aggiungiamo alla quota di astenuti i dati relativi delle schede bianche e nulle, il ‘non voto’ assume dimensioni maggiori comprendendo quasi un elettore su quattro.

La società di oggi è caratterizzata da un ulteriore paradosso: poche persone votano, quindi una minoranza sceglie anche per gli altri che non vanno a votare. Questi ultimi, nonostante tutto, criticano “il sistema” anche se si astengono. In un certo senso, decidono di tirarsene fuori, ma vogliono esprimere comunque il loro malcontento. Il fatto è che delegare gli altri e allo stesso tempo lamentarsi “perchè le cose non vanno bene” è una forma di vigliaccheria, un atto vile intriso di codardia.

Le ultime elezioni amministrative: bassa affluenza e scarsa partecipazione nelle periferie

Il fenomeno dell’astensionismo si è immancabilmente verificato alle elezioni amministrative appena concluse. Fin dai primi ballottaggi è saltato all’occhio il dato delle persone che non sono andate a votare. Sono i numeri più bassi di sempre. Infatti, se analizziamo le percentuali delle grandi città troviamo Milano e Napoli al 47%, Torino 48%, Bologna è l’unico caso isolato al 51%, mentre detiene Roma ha la percentuale più bassa (46%).

FONTE: Ancara.net

Ciò che più preoccupa e allarma è che nemmeno la scelta del nuovo sindaco della propria città ormai muove gli elettori e li spinge a votare. Le persone sono deluse e disilluse da una politica che non li rappresenta, non li convince e non li rispecchia. E’ una demotivazione collettiva che si verifica non solo nelle città più grandi, ma riguarda l’Italia intera. Leggendo le percentuali solo Bologna “supera”, anche se davvero di poco, il 50%, tutte le altre non ci sono arrivate nemmeno.

C’è un altra considerazione da tenere presente che ha rimescolato le carte in tavola: le periferie delle città non hanno votato. Hanno preferito optare per l’astensionismo. Lo spiega bene Lorenzo Pregliasco, direttore di Youtrend, con questo tweet:

Le periferie, i cui malcontenti e disagi sono noti e riguardano la maggior parte delle città italiane, sono la fetta della società che meno si è recata a votare, i più astenuti. Questo avvenimento fa scattare un corto circuito da non poco: le classi popolari quasi sicuramente verranno ascoltate e coinvolte ancora meno nelle politiche e nei programmi elettorali. I loro problemi saranno ancora di più messi messi da parte con il rischio che la loro non partecipazione diventi un boomerang, sfavorendoli e marginandoli più di quanto già non lo siano. Il loro disagio sociale potrebbe non riuscere a farsi spazio tra i tanti temi che le giunte dovranno dipanare. In poche parole, ancora una volta, c’è la paura che non venga presa in considerazione l’inclusività.

E’ evidente che il costante calo della partecipazione alle urne dovrebbe preoccupare – non poco – la politica. I partiti dovrebbero fare un “mea culpa”, analizzando tutti gli sbagli. Questo vale sia per chi ha puntato sul facile e sdoganato populismo sia per chi, il più delle volte, ha comunicato poco o male con gli elettori.

Dietro la vittoria del centro sinistra c’è l’astensionismo

Un 5 a 0 della sinistra sulla destra. Le città più grandi conquistate dal centrosinistra sono Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli. Solo Trieste va alla destra. Detta così sembra una vittoria schiacciante della sinistra di Letta che scavalca Meloni-Salvini-Berlusconi. Ma dietro all’evidenza di questo risultato, c’è ben altro.
Il successo del centrosinistra è infatti più complicato di quello che sembra. In realtà, se la vittoria si cala la maschera appare lo spauracchio dell’astensionismo. Nascosto dietro le quinte, ha indirizzato l’ordine delle cose e ha condotto prima la tornata elettorale, poi i ballottaggi.

In un articolo di qualche giorno fa su Domani, il direttore Stefano Feltri coglie l’essenza di questo avvenimento affermando che se la destra fosse riuscita a convincere i propri elettori che non hanno votato, molto probabilmente il quadro politico cambierebbe insieme ai risultati e la scelta del Pd di accelerare le elezioni non sarebbe una buona idea.

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A questo punto, l’astensionismo può essere interpretato come una totale o parziale sfiducia nei confronti dell’intera classe politica attuale. In questo contesto, risulta chiaro il disinteresse verso la politica in senso ampio. Si prospetta un futuro segnato da un massiccio e costante calo delle affluenze, anno dopo anno.
Quello che conta è che comunque il “partito dei non votanti” ha influito notevolmente sui risultati delle ultime elezioni amministrative.
C’è da chiedersi che senso abbia che, buona parte di quelle stesse persone, tra qualche mese, avranno da ri-dire sull’inefficienza generale. Forse, farebbero meglio a non pronunciarsi o, almeno, potrebbero assumersi la responsabilità degli effetti che il loro non recarsi alle urne comporta e comporterà. Forse.

Sara Ausilio

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