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Ho 24 anni, e ho anch’io una data per il vaccino

3 ' di lettura

Se me lo avessero detto mesi fa, non ci avrei creduto. Se me lo avessero detto un anno fa, poi, figuriamoci: avrei gridato, sconsolata, alla follia. E invece mi sbagliavo. Completamente. Ho 24 anni, nessuna patologia a fare di me un soggetto fragile e nessuna professione a espormi particolarmente al contagio. Eppure, contro ogni (mio) pronostico, a soli 16 mesi dallo scoppio della più grave emergenza sanitaria dell’ultimo secolo, è arrivato anche il mio turno di vedere la famosa luce in fondo al tunnel: solo poche settimane mi separano dalla prima dose del vaccino anti Covid-19. E sono felice, per non dire commossa. Troppo sentimentale? Forse sì. Ma dopo quello che abbiamo passato, concedetemelo.

Intendiamoci, so perfettamente che il vaccino non è una bacchetta magica: non farà sparire all’istante il Coronavirus; non mi restituirà quanto perso e sacrificato in questo quasi anno e mezzo; e di certo non sistemerà tutti i problemi che la pandemia ha lasciato dietro di sé. Ma è un primo passo, se vogliamo inverso a quello di Armstrong: un piccolo passo per l’umanità, ma un grande passo per me. Non farò nulla di irresponsabile o di avventato, ma una volta fatto il vaccino vedrò i miei amici, andrò al ristorante o da qualsiasi altra parte con un po’ più di tranquillità. Quasi la stessa con cui facevo ogni cosa prima del Covid, quando toccarsi e scambiarsi sorrisi erano cose come altre: normali, semplici, fin banali. Oggi sappiamo che non lo sono. Io per prima non lo dimenticherò.

Avrò un vaccino senza aver fatto nulla

Questa è la cosa di cui sono più grata e riconoscente. Ed è proprio così che è andata: mentre migliaia di scienziati in tutto il mondo lavoravano giorno e notte per trovare un rimedio a questa terribile situazione, io ero a casa mia, ad alternare lo studio alle serie tv, le lezioni agli allenamenti in soggiorno, gli esami alle videochiamate con gli amici. In tutti questi mesi ho anche trovato il tempo di annoiarmi (non poco) e di sbraitare contro la mia famiglia, che ha avuto come unica colpa quella di ritrovarsi, per mesi, chiusa in casa con me h24. Quando poi le condizioni lo hanno permesso, ho anche ripreso alcune delle attività che la pandemia aveva sospeso mentre, imperterriti, gli scienziati proseguivano le loro ricerche per arrivare, già a fine 2020, ad annunciare al mondo la scoperta del vaccino.

Sono quindi una privilegiata. Non solo perché sono qui a raccontarlo, e non lo dò per scontato; non solo perché la pandemia non ha reso eccessivamente precaria la mia vita (in casa mia cibo e bollette abbiamo sempre potuto permetterceli); ma anche e soprattutto perché la soluzione a questa tragica emergenza mi è stata di fatto regalata, da persone che non mi conoscono e senza che io facessi nulla. Ma proprio nulla: non ho dovuto prendere io decisioni che avrebbero determinato la vita o la morte di milioni di persone; e non è da me che il mondo pretendeva un modo per curare e prevenire la malattia. Non era compito mio (per fortuna, aggiungerei). Io ho fatto semplicemente quel poco che mi è stato chiesto: stare a casa e limitare le mie attività.

vaccino

Certo è stato un sacrificio, anche perché non è stato sempre tutto facile. Non nego che i disagi della DAD li abbia accusati anch’io e che, alla lunga, rimanere costantemente in casa, con una privacy per forza di cose limitata, sia pesato anche a me. In questi mesi, poi, ho sperimentato anch’io quella strana sensazione che gli esperti hanno definito «languishing»: uno stato di apatia, indifferenza e rassegnazione. Insomma, anch’io in certi momenti mi sono fatta prendere dalla noia e dallo sconforto difronte a una situazione terribile, molto più grande di me e per cui non avevo colpe, e tantomeno soluzioni. Adesso però, grazie ai vaccini, posso dire che stiamo davvero (almeno) iniziando a venirne fuori. Al di là dei dati sull’epidemia in costante miglioramento, questo lo vedo anche da come i disagi e le disavventure di questi mesi siano già diventati veri e propri aneddoti (più o meno simpatici, ovviamente).

La frenesia dell’attesa

Da quando si sono aperte le prenotazioni per la mia fascia di età ho anche notato una strana dinamica, tanto divertente quanto surreale. Quando è arrivato il nostro momento, siamo stati in milioni a fiondarci sui rispettivi portali per iscriverci alla campagna vaccinale. I giorni successivi è stato un continuo susseguirsi di storie su Instagram e messaggi per condividere date e orari delle convocazioni agli hub vaccinali. Mi ha ricordato quando, in passato, ci comunicavamo i giorni dell’orale di maturità o della discussione di laurea. Con le dovute differenze, anche in questo caso stiamo bramando una libertà a lungo attesa. E non è mancata nemmeno un po’ di sana invidia verso chi è stato convocato prima di noi (ma niente di eccessivo, naturalmente). Sono tutti momenti che conserverò con cura.

L’unica nota dolente è stata constatare lo stupore di adulti, giornalisti e boomer vari difronte alla nostra adesione in massa alla campagna vaccinale. Come se in tutti questi mesi i negazionisti, i no-vax e i complottisti di ogni genere fossimo stati noi giovani. Ma non importa. Oggi non è tempo di polemiche. Oggi è un giorno di festa: ho una data per il vaccino, ed è sempre più vicina.

Giulia Battista

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