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Esperanto, storia e grammatica della lingua artificiale

3 ' di lettura

Alla fine dell’800, l’Impero Britannico occupava all’incirca 30 milioni di chilometri quadrati e comandava su un quarto della popolazione mondiale. L’inglese, essendo presente in tutti i continenti, si affiancava e sovrapponeva a tutte le varie lingue locali, come l’indiano, l’olandese e il francese. All’epoca, questa babele non solo rappresentava un ostacolo comunicativo, ma era anche una metafora delle continue guerre coloniali e di indipendenza che dilaniavano il mondo. Molti pensavano che ci fosse bisogno di una lingua sovranazionale e pacifica che annullasse tutte queste differenze, e l’esperanto – nei sogni del suo creatore – doveva esserlo.

La nascita dell’esperanto

Le lingue artificiali non sono così rare: l’elfico del “Signore degli Anelli”, il klingon di “Star Trek”, il dothraki del “Trono di Spade”, l’aklo di Lovecraft, l’enochiano di Kelly e la lingua puffa sono solo alcuni degli idiomi costruiti più famosi. Se la maggior parte delle lingue artificiali appartengono a opere di finzione e non possono essere usate per trattative commerciali o simili – a meno che non siano tutti grandi appassionati dei libri di Tolkien – l’esperanto nasce invece col preciso intento di essere parlato nel mondo reale.

L’inventore dell’esperanto fu Ludwik Lejzer Zamenhof, medico e linguista polacco. Suo padre era un linguista, e il nome Ludwik fu scelto da Lejzer in onore di Francis Lodwick, a sua volta glottologo, che nel 1652 pubblicò un testo sulla lingua artificiale. In un certo senso, tutto era predisposto perché Zamenhof inventasse l’esperanto.

Nel 1887, Zamenhof pubblicò il primo manuale della sua “Lingua Internazionale”, firmandosi Dottor Esperanto – lo pseudonimo diede il nome alla lingua. L’idea di creare una “lingua internazionale” frullava nella mente di Zamenhof da anni. In una lettera scrisse di non volersi legare con “gli obiettivi e gli ideali di un particolare gruppo o religione”, e che la diversità linguistica “allontana la famiglia umana e la divide in fazioni nemiche”.

Conscio della situazione geopolitica dell’epoca, Zamenhof capì che c’era bisogno di un idioma che non appartenesse a nessuno e allo stesso tempo fosse di tutti. Basandosi sulle lingue che parlava – russo, polacco, francese, inglese, ebraico, italiano, greco e latino –, creò l’esperanto con questa sola intenzione.

Zamenhof e la grammatica fondamentale dell’esperanto

La grammatica dell’esperanto

La grammatica dell’esperanto si basa su una sintesi e una semplificazione delle grammatiche indoeuropee. Esaurire in poche righe tutte le regole è impossibile, ma nel 1905 Zamenhof pubblicò “Fundamento de Esperanto”, una grammatica/dizionario in cui tracciò le linee guida della lingua. Questo testo è considerato immutabile e imprescindibile.

Il lessico dell’esperanto si basa sulle lingue romanze, quindi quasi tutte le radici provengono da lì. “Am-“, per esempio – la radice di “amore” – viene dal latino. La morfologia, invece, è agglutinante, cioè basta aggiungere delle particelle prima o dopo le radici per modificare il significato grammaticale. Il sostantivo “amore” si forma con “am- + -o”, quindi “amo”; l’aggettivo “amorevole” è “am- + -a”, quindi “ama” – e così via. In generale, “-o” è il suffisso per i nomi, “-a” per gli aggettivi, “-e” per gli avverbi e “-i” per il verbo all’infinito.

Il plurale dei sostantivi e degli aggettivi si forma aggiungendo una “-j” finale, e l’aggettivo e il nome devono sempre concordare. L’articolo determinativo è “la”, invariabile per genere, numero e caso, mentre quello indeterminativo non esiste. I verbi non hanno persona o numero; il presente termina in “-as”, il passato remoto in “-is”, il futuro in “-os”, il condizionale presente in “-us” e l’imperativo in “-u”.

L’alfabeto esperanto

Altre regole di base:

  • L’esperanto si legge come si scrive
  • Le parole composte hanno la radice di quella più importante alla fine
  • L’accento cade sempre sulla penultima sillaba
  • La -n marca il complemento oggetto
  • La doppia negazione afferma
  • Le congiunzioni e le preposizioni sono invariabili, quindi tocca impararsele a memoria.
  • Anche le varie particelle agglutinanti sono da imparare a memoria. Esempio: “-ebl-” significa “possibile”, quindi “kredebla” si traduce come “credibile”, perché “kred-” è la radice di “credere” e “-a” specifica che è un aggettivo.

Gli usi dell’esperanto ieri e oggi

Giuseppe Peano, nel 1905 – lo stesso anno di “Fundamento de Esperanto” –, propose il latino sine flexione, un latino senza declinazioni che doveva sostituire l’inglese come parlata internazionale. All’epoca, avere un idioma non-nazionale come lingua sovranazionale era un’idea di molti, ma – com’è evidente oggi – né il latino di Peano né l’esperanto presero piede.

In realtà, dopo la pubblicazione di Zamenhof, una folta comunità esperantista prese in mano il destino della lingua, facendola evolvere e mantenendo inalterati i fondamenti del suo creatore. La Prima Guerra Mondiale, tuttavia, segnò una battura d’arresto nell’espansione dell’esperanto – per altro abbastanza contenuta –, mentre Hitler e Stalin diedero il colpo di grazia. Il primo, siccome Zamenhof aveva origini ebree, considerava l’esperanto l’idioma di quella cultura; il secondo, invece, credeva fosse la lingua delle spie. Dalla Seconda Guerra Mondiale, poi, l’inglese prese il definitivo sopravvento, relegando l’esperanto a una lingua per “appassionati”.

La bandiera dell’esperanto. Il verde simboleggia la speranza, il bianco la pace e la stella i cinque continenti

Oggi, dopo varie proposte – rifiutate – per adottare l’esperanto come lingua franca dell’Unione Europea, una piccola comunità continua a parlare e tutelare l’idioma. Di certo, Internet ha salvato la lingua per sempre: le voci Wikipedia in esperanto sono di più rispetto a quelle in danese e quasi le stesse di quelle in ebraico; Google Traduttore permette di passare dall’esperanto a qualsiasi altra lingua; è più facile conoscere persone in giro per il mondo che parlano l’idioma. Inoltre, esistono circa mille madrelingue – persone che hanno imparato l’esperanto da piccole perché i loro genitori l’avevano studiato e lo usavano in casa – che portano avanti attività di tutela.

Di fatto, l’esperanto ha fallito come lingua sovranazionale, neutrale e unitaria, ma per la sua natura pacifica è tutt’ora salvaguardato dall’UNESCO e dall’Associazione Universale Esperanto (la UEA), e sicuramente continuerà a esistere. Vivu esperanto!

Alessandro Mambelli

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