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Il 31 maggio si è alzato il sipario su ITsART, una nuova piattaforma streaming interamente dedicata alla cultura del Bel Paese. Il progetto, fortemente voluto dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, nasce per promuovere «lo spettacolo e la cultura italiana […] in Italia e nel mondo» e offre un palcoscenico alternativo alle bellezze artistiche del nostro paese. Un’iniziativa ambiziosa e sicuramente adatta a questi tempi pandemici, ma non certo esente da criticità che rischiano di comprometterne il futuro.
Il progetto
L’idea di una piattaforma dedicata alla cultura italiana nasce come risposta alle chiusure di cinema, teatri e musei imposte dalla pandemia. Fin dall’inizio, però, il progetto è stato pensato per continuare ad esistere anche oltre la fase emergenziale e, soprattutto, al di fuori dei confini nazionali. Al momento, infatti, è possibile accedere ad ITsART anche dal Regno Unito e, se tutto procederà secondo i piani, sarà disponibile in tutta Europa entro la fine dell’anno e in altri mercati internazionali dal 2022. L’obiettivo, dunque, è quello di creare «una sorta di Netflix della cultura» – parole di Franceschini – che permetta a tutto il mondo di godere delle meraviglie che il nostro patrimonio artistico-culturale ha da offrire.
Per realizzare il progetto, il Mibac si è affidato ad una società partecipata composta da Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e da Chili – una società di distribuzione di audiovisivi – che detengono rispettivamente il 51% e il 49% delle azioni di ITsART. Difronte a questa scelta, in molti hanno contestato il mancato coinvolgimento della Rai, ma il motivo della sua esclusione è presto detto: la TV pubblica non può offrire contenuti a pagamento a chi già paga il canone.
L’iniziativa sembra sia costata circa 30 milioni di euro, quasi equamente investiti da CDP, Chili e Ministero della Cultura. Tuttavia, non è ancora chiaro dove quest’ultimo abbia preso i fondi (se dal Recovery Fund, dal Fondo unico per lo spettacolo o altrove). Del resto, l’iter dell’iniziativa non ha brillato per trasparenza, né per velocità. Presentato da Franceschini già durante il primo lockdown, il progetto ha infatti iniziato a concretizzarsi soltanto lo scorso dicembre – quando la Camera di Commercio ha ricevuto la documentazione necessaria – e ha visto la luce solo pochi giorni fa (tra l’altro proprio in concomitanza delle riaperture delle attività culturali). Come per la provenienza dei fondi, anche sul motivo di questo ritardo è mancata chiarezza. Così come su molte altre questioni legate alle ragioni e alle modalità con cui si è arrivati alle decisioni prese, a partire dalla stessa scelta di collaborare con Chili.
La piattaforma
ITsART (acronimo di Italy is Art) ha debuttato con un catalogo di 700 titoli, destinati ad aumentare nelle prossime settimane. Per accedervi è necessario registrarsi sulla piattaforma e dichiarare di avere più di 18 anni, ma è garantita la possibilità di bloccare la propria profilazione e le pubblicità personalizzate.
I contenuti disponibili sono piuttosto vari: spettacoli teatrali e concerti (sezione «Palco»), film e documentari (sezione «Storie»), musei e siti archeologici (sezione «Luoghi»). Insomma, l’offerta è abbastanza ampia. Quello che manca, però, è una precisa idea culturale alla base. Qualsiasi polo culturale italiano, pubblico o privato che sia, può infatti mettere in vendita le proprie opere e potenzialmente accedere al palco virtuale di ITsART. Sarà poi la piattaforma a decidere se acquistare o meno il prodotto. Questo non è necessariamente un problema, ma lascia aperta la possibilità – questa sì problematica – che a guidare le scelte di catalogo siano più gli accordi commerciali tra le parti che la qualità dei contenuti.
In ogni caso, almeno per il momento, non si discute sul livello dei titoli disponibili. Tra i più interessanti spiccano sicuramente le (purtroppo brevi) visite virtuali al Museo Egizio di Torino e al sito archeologico di Pompei e le rappresentazioni andate in scena al Teatro alla Scala di Milano e al Teatro San Carlo di Napoli. A questi si aggiungono poi i capolavori del nostro cinema d’autore e diversi «Eventi» live o registrati, come il Concerto di Claudio Baglioni al Teatro dell’Opera di Roma, andato in onda – con scarso ritorno di pubblico – il 2 giugno per promuovere il lancio della piattaforma.
Quanto costa ITsART
Qui arriviamo al vero problema del progetto. Alcuni dei contenuti della piattaforma sono fruibili gratuitamente, altri in modalità «gratis con pubblicità» e altri ancora pagando tra 1,99 e 12,90 euro. Discorso a parte richiedono i film – solo 28 al momento, di cui tra l’altro solo 5 realizzati dopo il 2000 – che è possibile vedere solamente noleggiandoli per 48 ore o acquistandoli (a partire da 4,90 euro). Il modello, dunque, non è il classico abbonamento mensile/annuale a cui i vari Netflix e Prime Video ci hanno abituato. Per questo motivo, oltre che per l’assenza di contenuti prodotti dalla piattaforma stessa, la definizione di ITsART come «Netflix della cultura» è poco appropriata. È valida solo se si considera «Netflix» un sinonimo di «piattaforma streaming». Ed è sicuramente fuori luogo se si guarda ai ricavi a cui ITsART può realisticamente ambire.
Sì perché, per quanto solo il tempo potrà decretare il successo o il fallimento del progetto, con questi prezzi è difficile aspettarsi grandi numeri. Di certo un paese che non ha mai affollato teatri e musei non avrà chissà che interesse per i (pur meritevoli) contenuti di ITsART. Ma anche dall’estero difficilmente arriverà un gran coinvolgimento. Chi pensa di trovare tante persone disposte a spendere 7 euro per 30 minuti di «virtual tour» del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano – il biglietto sul posto ne costa 10 – è destinato a rimanere deluso. Almeno tanto quanto chi crede che saranno in molti a spendere anche solo 2 euro per noleggiare «Roma città aperta» o «Matrimonio all’italiana». È vero che il confine tra genio e follia è sottile, ma quando si investono 30 milioni di euro – in parte pubblici – un po’ di pragmatismo non guasterebbe.
Giulia Battista
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