Press "Enter" to skip to content

Costretti dalla crisi a cambiare vita, chi sono i nuovi nomadi americani?

3 ' di lettura

C’era una volta, e spesso ritorna, il sogno americano. Protagonista di svariati film e luoghi comuni, esso ha costruito negli anni l’immagine di un’America dove “si puote ciò che si vuole”, un paradiso dove ogni uomo con il suo lavoro può realizzare se stesso e raggiungere il successo. C’è stato un momento in particolare però, di cui stiamo ancora vivendo le conseguenze, in cui la realtà ha dimostrato di essere più forte del sogno; un momento che ha costretto molte persone ad un brusco risveglio. È il 2008 quando molti americani finiscono letteralmente in mezzo alla strada. Perdono il lavoro, la pensione, l’assistenza sanitaria, e la loro casa. In molti sono costretti a chiudere la loro vita in una scatola e a mettersi in viaggio. La strada abitata su un camper, sui sedili di un’auto o in una roulotte è la loro nuova casa. Il lavoro, da stabile e sicuro, diventa temporaneo o stagionale. Nessuna volontà hippie o utopica scelta di vita on the road dunque. È la mancanza di alternative a dare inizio al loro viaggio.  Nella loro storia si legge il dramma di una crisi che negli anni ha preso il nome di “Grande recessione” e che ancora oggi continua a condizionare il vivere delle persone, non solo americane.

Dall’inchiesta giornalistica al film Oscar

Nel 2017, la loro vita diventa protagonista di Nomadland, un racconto d’inchiesta della giornalista statunitense Jessica Bruder. La regista Chloé Zhao ne ha recentemente creato un film, premiato in diverse occasioni e vincitore degli ultimi Oscar. Grazie a loro, la vita nomade con tutte le sue difficoltà e contraddizioni si racconta al grande pubblico, in un viaggio in cui i suggestivi panorami americani fanno da sfondo a comunità di camper, affollate nei parcheggi.

Da Nomadland, regia di Chloé Zhao, con Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Charlene Swankie, Derrick Janis, USA 2020

Un solo epilogo per milioni di americani

L’accaduto, in breve, è ormai parte dei libri di storia e economia. La crisi arriva a sconvolgere la loro vita nel 2008, dopo anni segnati da scelte sconsiderate, un sistema finanziario non normalizzato e mutui concessi con troppa facilità. Verso le fine degli anni ’80 le banche di investimento scoprono che comprare dai creditori i contratti dei mutui, trasformarli in titoli e rivenderli sul mercato finanziario, è un modo più che redditizio per acquisire liquidità. I creditori dal canto loro, possono non preoccuparsi più dell’affidabilità delle persone a cui concedono i prestiti che poi rivendono alle banche di investimento statunitensi e estere. L’importante insomma è far firmare contratti, il rischio di insolvenza non è più un problema. Seguono anni di mutui facili per tutti, che le persone impiegano principalmente nell’acquisto di una casa, spesso fuori dalla loro portata. Nel promettente mercato immobiliare, il valore delle case aumenta e il sogno di molti sembra prendere forma. Ma dopo anni di crescita inarrestabile, il sistema mostra le sue fragili fondamenta. Molti americani non riescono più a pagare rate di mutui eccessivamente alte. Iniziano i pignoramenti, il valore delle case crolla, e le banche di investimento non comprano e non riescono più a rivendere i debiti. Il mercato si ferma e mentre le banche si trovano piene di debiti e di case senza alcun valore, gli americani sono costretti a inscatolare il loro sogno e cambiare vita.

Hobo e vandweller, le due facce del nomadismo americano

Anche quello del nomadismo è un mito entrato nei secoli a far parte della storia americana. La cultura Hobo – termine coniato per indicare senzatetto e vagabondi che scelgono volontariamente di intraprendere un viaggio fatto di avventura, semplicità e lavori occasionali –  affonda le sue radici nell’idea romantico-ottocentesca di pionieri e cercatori d’oro, protagonisti del glorioso passato americano. Sopravvissuti alla guerra civile, nella seconda metà dell’800, molti americani iniziano a percorrere le strade, da soli o in piccoli gruppi, alla ricerca di lavori nelle ferrovie in costruzione o nei cantieri. Ciò che li distingue da altri disoccupati e senzatetto in viaggio per le strade, è proprio la loro scelta volontaria di una vita vissuta alla giornata, più libera e genuina. Nel tempo, anche grazie all’esperienza delle comunità hippie degli anni settanta, il mito di questo nomadismo, fatto di avventura e libertà, entra a far parte dell’immaginario collettivo.

I vandwellers usciti dalla “Grande recessione” del 2008 rifiutano invece l’appellativo di senza tetto. Preferiscono piuttosto “senza casa”, o “abitanti di furgoni”. Non sono giovani come gli impavidi hobo. Spesso sono pensionati e adulti disoccupati che percorrono le strade alla ricerca di un lavoro in cambio di un piccolo compenso o di un parcheggio gratuito dove passare la notte. Una nuova forza lavoro a basso costo impiegata molto volentieri da proprietari terrieri nei campi di barbabietola, dalle industrie nei magazzini e dai grandi colossi come Amazon nei mesi in cui le vendite aumentano. I turni di lavoro sono lunghi e faticosi, l’assistenza sanitaria un’utopia. I nomadi dei nostri giorni non sono giovani avventurieri, sono disperati in viaggio, alla ricerca di una vita dignitosa, nonostante tutto.

Giorgia Clementi

One Comment

  1. Mario Mario 10 Giugno, 2021

    Tutto giusto, però ancor prima di guardare in America guarderei in Italia, anzi anche a Parma e alle code alla mensa di padre lino. o alla caritas.
    E parlarei del modello italiano, degli sprechi a pagare tanti statali inutili, le cooperative che schiavizzano i braccianti e tanto altro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Mission News Theme by Compete Themes.