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Il dub non nasce come genere musicale a sé stante, costituiva piuttosto una pratica in uso negli studi di registrazione, ovvero quella di inserire, come lato B di un singolo, la “base”. Cioè solo la traccia strumentale senza la voce. La ragione di ciò si ricerca nel fatto che, nelle dancehall, la gente si divertisse a cantare sui brani, perciò si fornivano ai dj versioni dei brani senza il cantato. Queste versioni iniziarono ad influenzare così tanto la musica da costituire un vero e proprio genere nuovo, giocato molto sulla ritmica reggae e su suoni che tendevano a gonfiare i bassi.
A metà degli anni Novanta, oltre che in Giamaica, questo genere era molto in voga in due posti nello specifico in Europa: a Bristol, nel Regno Unito, dove ha ispirato la nascita del trip hop e, contestualmente, quella dei Massive Attack e a Napoli, dove invece i maggiori interpreti sono stati gli Almamegretta, capaci di smarcarsi dal “sistema” della posse con una proposta originale.
Il gruppo di Raiz faceva della voce profonda bagnata dei delay e dai riverberi un suo marchio di fabbrica inconfondibile, che ben si andava a mischiare con le atmosfere mediterranee e mediorientali che andavano a fondersi nella trama sonora in maniera quasi naturale. La scelta della lingua napoletana forse ha un po’ limitato il successo degli Almamegretta al Sud Italia, ma come racconta lo stesso autore di tutti i testi: «Il napoletano è una lingua che ti permette di osare, di uscire dalle strette dell’italiano che ha una struttura molto codificata. Il mio napoletano non è usato per sbandierare identitarismo, non è una scelta campanilistica».
Il cuore dell’album è indubbiamente quello che più attira da un punto di vista semantico e strutturale. Si parte da Pe dint’ ’è viche addò nun trase ‘o mare, brano in cui svettano i suoni mediorientali sintetici e si approda subito a Sanacore, brano che dà il nome all’album e che vede la partecipazione di Concetta Sacco, l’Amalia Rodrigues napoletana che intreccia la sua voce a quella di Raiz in una tammurriata postmoderna che si svolge tra i suoni di una drum machine oggi tornata prepotentemente di moda ed il delicato flauto di Daniele Sepe. La vetta la si raggiunge con Nun te scurda’, dolente brano in cui una ragazza “dei quartieri” racconta la sua storia di discriminazione, condannata dalla società per la sua scelta di vivere i propri sentimenti e la propria sessualità anche fuori da una forma codificata di unione. Mamma, puttana o brutta copia ‘e n’ommo/chest’ è na femmena int’ a chesta parte ‘e munno/Ca quanno nasce a chest’è destinata/e si a cummanna ‘o core d’a ggente è cundannata.
Un modo di interpretare la musica e percepire la vita del tutto particolare, per un album che ha rappresentato uno spartiacque e in sostanza ha dato vita ad un genere particolare, chiamato glocal, che unisce la musica del mondo ad un approccio puramente territoriale. Sanacore, a 26 anni dalla sua prima pubblicazione, è ancora un disco fresco, moderno, e contribuisce ad alimentare il mito degli Almamegretta, ormai fermi da un po’ a livello di pubblicazioni ma più vivi che mai nel cuore dei fan.
Mario Mucedola
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