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Eurovision, il bello dell’Europa senza divisioni

4 ' di lettura

Se c’è una cosa che unisce l’Europa più della pizza e dell’odio verso il sandalo e calzino bianco dei tedeschi, quella è l’Eurovision Song Contest. L’evento non sportivo più seguito al mondo, giunto alla 65esima edizione, torna live dopo l’appuntamento “a distanza” dell’anno scorso.

La serata inizia con l’augurio di Diodato, protagonista l’anno scorso di uno dei momenti più toccanti della storia dell’Eurovision, talmente toccante che di sicuro i Måneskin si sono toccati quando ha augurato loro buona fortuna. Lo show nella prima parte procede col ritmo di una Fiat Ritmo, teoricamente fila tutto liscio ma che noia, nonostante si veda che Gabriele Corsi e Cristiano Malgioglio, i due presentatori di quest’anno, siano una buona coppia, affiatata sì ma senza il pubblico, la televisione -permettetemelo- è una schifezza.

Le esibizioni Paese per Paese

Inizia Elena Tsagrinou per Cipro, con un mix di “Poker Face” e “Bad Romance”, ma credo che nel resto d’Europa se ne siano accorti, infatti l’accoglienza è talmente fredda che spiega bene il concetto di “applauso di circostanza”. Anzhela Peristeri per l’Albania, canta in lingua originale. È il turno di Eden per Israele: ecco il tipo di musica che voglio sentire all’Eurovision. Il Belgio, con gli Hooverphonic, si presenta con la cantante originale, quella di “Mad about you”. La canzone è molto nel loro stile ma nel contesto sparisce un po’. Magari dopo funzionerà in radio ma adesso mi sembra solo un esercizio di stile.

Manizha per la Russia porta un bel messaggio dietro al pezzo, “ogni donna russa deve sapere che è forte abbastanza per saltare oltre il muro”, in linea con la sua storia: sua nonna è stata la prima donna del Tagikistan a togliere il velo. Una delle mie preferite, per questo arriverà minimo ultima. Malta è tra le favorite, Destiny ricorda un po’ Lizzo, soprattutto per il messaggio sulla body positivity sotteso all’esibizione. La canzone non è niente di che, classico brano fatto per mettere in risalto la voce, arriverà comunque alta. I Black Mamba dal Portogallo sono un altro gruppo che incontra il mio gusto, per la prima volta la nazione di Pessoa porta un brano tutto in inglese ma che bella canzone e che bella voce quella del gruppo di Lisbona. La Serbia con le Hurricane porta una canzone tamarra e abbastanza insignificante ma se il pubblico fosse tutto maschile, queste tre ragazze arriverebbero dritte dritte seconde dietro l’Azerbaigian. Il Regno Unito con John Newman ci dimostra perché la Brexit non è stata una scelta sbagliata e la Grecia con Stefania fa il paio con Cipro, lanciando un messaggio più a Erdogan che all’Europa.

Con la Svizzera c’è un odio dal 1958, anno in cui Lys Assia con “Giorgio” scippò il secondo posto a Domenico Modugno con “Nel blu dipinto di blu” ma è solo un pretesto per nascondere che la canzone di Gjon’s Tears è la cosa più noiosa dopo le conferenze di Diego Fusaro. L’Islanda, con Daði & Gagnamagnið porta forse il pezzo più bello, di gran lunga il mio preferito, ma in DAD per un caso di positività nel gruppo. Blas Cantó per la Spagna riscrive il concetto di orchite. Anche la Moldavia con Natalia si inserisce nel solco cipriota mentre la Germania con Jendrik sfodera il Mika tedesco. Positività e lotta alle discriminazioni in un brano innocuo ma simpatico. La Finlandia porta il “violent pop” dei Blind Channel ma ho ancora negli occhi i Lordi con “Hard Rock Hallelujah”, ne dovete mangiarne di pane duro, ragazzi. Victoria, l’Annalisa bulgara ci proietta nel pezzotto di “La La Land” mentre la Lituania coi The Roop rimette le cose a posto con un brano che ricorda molto gli Whomadewho e poi dai, non si può dire male di un gruppo che si presenta in total yellow.

L’Ucraina con Go_A porta la versione aggiornata del Pippero, con il flauto delle medie e un sound che fa venire voglia di droghe sintetiche, davvero molto interessante. Ed è questo il bello dell’Eurovision, venire in contatto con mondi lontani eppure a portata di telecomando, di clic. Smettiamola di fare i cretini con “Il mio paese”, “Le mie tradizioni”: conoscere l’altro non vuol dire perdere sé stessi, vuol dire solo aprirsi all’idea che il diverso esista, sia dietro la porta e non debba per forza essere negativo. Ma ad interrompere questo pensiero arriva Barbara Pravi per la Francia, con un pezzo assolutamente francese, perciò noioso e POOO PO PO PO PO POOO POOO.

Come accennavo già con la Serbia, per l’Azerbaigian sospendo il giudizio. Soprattutto perché i cristalli liquidi della tv si sono sciolti e non vedo più niente aiuto “dottore, chiami un dottore”. L’Achille Lauro della Norvegia invece, oltre a farci capire perché tra i fiordi ci sia un così alto tasso di suicidi ci porta anche la storia strappalacrime di cui non avevamo alcun bisogno: il cantante si chiama Tyx perché ha la sindrome di Tourette e a scuola ne prendevano in giro i tic. Lacrime, sipario, humana pietas. L’Olanda invece viene fuori con Jeangu Macrooy, un figo da paura, per giunta con una bellissima voce, peccato per la canzone mediocre.

È la volta dei Måneskin, che incendiano il palco ma personalmente avrei alzato poco poco il volume della chitarra. A parte questo, niente da dire, tengono il palco benissimo, sul finale arrivano anche gli effetti col fuoco, Damiano si butta a terra, tutto molto bello. La Svezia se vincesse sarebbe davvero un colpo di Tusse, ma di ‘sti tempi meglio evitare. Il messaggio è sempre quello dell’inclusione, multiculturalità, tolleranza ed è bello e importante, alla fine la canzone non è neanche tanto brutta ma forse per stasera siamo a posto così. Senhit per San Marino è l’ultima a cantare, ma un brano così meritava di essere ascoltato prima, brava lei e Flo Rida, ennesima dimostrazione i confini sono un concetto, la musica è qualcosa di altro, transnazionale e transentimentale.

Le operazioni di voto

Il meccanismo di voto è più contorto di quello degli Stati Uniti durante le elezioni presidenziali: 50% il televoto, 50% il peso del voto delle giurie di ogni paese, che ovviamente non possono votare per il proprio. Per questo spesso si formano dei cartelli, come quello storico tra i paesi scandinavi, quello tra Grecia e Cipro e l’inedito Bulgaria-Moldavia che si danno il massimo dei voti a vicenda. Così come vecchie ruggini vengono a galla, come la Francia che non ci dà neanche un punto, San Marino che regala i 12 punti alla Francia e solo 4 all’Italia e la Slovenia e la Croazia che ci danno il punteggio massimo, la Meloni sarebbe orgogliosa. Da italiani, quindi persone con un buon gusto sopra la media, attribuiamo i 12 punti alla Lituania e accogliamo di buon grado quelli dell’Ucraina e della Georgia.

Così dopo il voto delle giurie nazionali l’Italia è quarta, parecchio dietro alla Svizzera e alla Francia, ma due punti sotto Malta e otto punti sopra l’Islanda. Tutto è ancora ribaltabile, se il voto popolare ci sarà favorevole. Col televoto infatti la classifica viene sconvolta: la Finlandia prende 218 punti, l’Ucraina 267, l’Italia 318 e così i Måneskin vincono l’Eurovision, a 31 anni dall’ultima vittoria italiana con Toto Cutugno, davanti a una Francia e una Svizzera attonite. L’anno prossimo toccherà al Bel Paese organizzare ed ospitare la manifestazione, il primo grande show europeo dai tempi in cui un nubifragio abbatté il palco degli Avenged Sevenfold durante l’Heineken Jammin’ Festival del 2010. Saremo all’altezza di organizzare un’Eurovision, probabilmente il primo “come ai vecchi tempi”, col pubblico senza distanziamento e mascherine? Possibilmente non al Palalottomatica, rinomato per la pessima acustica? Questo potrà dircelo solo il tempo, nel frattempo siamo sul tetto d’Europa da un punto di vista musicale, e comunque la si pensi sui Måneskin è un risultato onorevole. Una rivincita dopo un anno di sofferenza per il comparto musicale. Che sia l’inizio di un nuovo inizio?

Mario Mucedola

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