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Il pluralismo è il miglior vaccino contro la disinformazione. RSF e l’Indice della libertà di stampa

3 ' di lettura

Per chi non la conoscesse, Reporter Senza Frontiere (RSF), è una ONG senza scopo di lucro, che da ormai 36 anni è impegnata nel difendere la libertà di informazione e la libertà di stampa. Ogni anno produce un report in cui fa il punto della situazione a livello globale. È recente la diffusione del World Press Freedom Index del 2021, l’indice in cui l’organizzazione fa il punto sulla libertà di informazione in tutti i paesi del mondo, in cui emerge subito un dato allarmante, ovvero che il giornalismo – il miglior vaccino contro la disinformazione è completamente o parzialmente bloccato nel 73% delle 180 nazioni soggette alla classifica di RSF.

L’informazione tra sfiducia e difficoltà pratiche

I dati dell’indice riflettono in parte la situazione dovuta alla pandemia, con i giornalisti che sono stati messi in difficoltà oggettiva dall’impossibilità di spostarsi per lavorare “sul campo”; problematica a cui si aggiunge anche una maggiore difficoltà nell’accesso alle fonti di informazione, che ha reso quasi impossibile ai reporter avere accesso a quelle storie già di per sé poco note, come i fatti provenienti dall’Asia, dal Medioriente e dall’Europa dell’est.

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I dati dei paesi in percentuale. Fonte: RSF Elaborazione grafica: Salgoalsud

Inoltre, si registra un generale senso di sfiducia verso le categorie dell’informazione: un altro studio, l’Edelman Trust Barometer, mostra come a livello globale il giornalismo stia vivendo una crisi di credibilità, che si inserisce in un contesto di sfiducia più ampio che tocca altre categorie. Non solo i giornalisti infatti, risentono di queste accuse ma anche i governi e la politica in generale, fino ad arrivare agli accademici e gli esperti, che effettivamente nell’ultimo anno hanno monopolizzato la scena con dichiarazioni spesso in contrasto, producendo un significativo disorientamento nel pubblico.

Eppure, il pluralismo continua ad essere l’arma più forte per combattere la disinformazione e il rigore nel raccontare tutto rimane l’unico appiglio prima di cedere alla più sfrenata infodemia. Esempi di come sarebbe il mondo senza un sistema informativo di guardia e controllo con la spina dorsale rigida sono rintracciabili in Brasile, dove il presidente Bolsonaro ha promosso l’idrossiclorochina come cura contro il Covid-19, senza alcun fondamento scientifico o l’Iran dove Rouhani ha stretto le maglie dei controlli sull’informazione per filtrare quanto più possibile la fuoriuscita dei “bollettini” relativi al coronavirus oppure ancora l’Egitto; dove Al-Sisi ha direttamente impedito la pubblicazione di qualsiasi contenuto che non provenisse direttamente dal Governo e dal Ministero della Salute, lanciando lunghe ombre sulla veridicità dei dati.

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Le prime e le ultime dieci posizioni. Fonte: RSF Elaborazione grafica: Salgoalsud

La classifica di Reporters Sans Frontières

Tornando alla vera e propria classifica di RSF, non sorprendono le prime posizioni. La Norvegia si mantiene stabile come capolista ed altrettanto fa la Finlandia in seconda posizione. Un piccolo scambio tra la Svezia che sale al terzo posto e la Danimarca che scende al quarto ma stiamo parlando di punteggi decimali. Sorprendente è invece la quinta posizione della Costa Rica, che si lascia alle spalle diversi paesi europei come l’Olanda (sesta), il Portogallo (nono) e la Svizzera (decima).

Negazionismi e complottismi sono responsabili di alcune “cadute” in questa classifica, come quella della Germania, che perde due posizioni attestandosi come tredicesima: diversi giornalisti teutonici sono stati infatti presi di mira da estremisti e cospirazionisti durante le proteste contro le restrizioni per il Covid. Così come anche gli Stati Uniti perdono una posizione, scendendo alla numero 44, soprattutto “grazie” all’ultimo anno di governo di Donald Trump, continuamente impreziosito da fake news e attacchi alla stampa. L’Italia si conferma 41esima: c’è ancora tanto da lavorare.

Il già citato Brasile, è il primo dei paesi in cui la condizione della libertà di stampa può considerarsi “complicata”: nella stessa fascia troviamo l’India, il Messico ma soprattutto la Russia putiniana, alla posizione 150 su 180, grazie al suo apparato repressivo soprattutto per quanto riguarda la copertura mediatica del caso-Navalny. Guardando invece al fondo del ranking, troviamo “i soliti noti”. La posizione 177 è tutta della Cina, dove è ancora presente la censura di Internet e il filtro continuo delle informazioni. Il podio negativo, invece è occupato da tre nazioni soggette a dittatura: Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, dove il controllo dell’informazione è tale da arrivare a sostenere che, secondo quanto riportano i media ufficiali, nei due stati asiatici non si siano mai registrati casi di contagio da Covid.

Chi sale e chi scende

Uno stato che ha visto precipitare la propria condizione, perdendo addirittura 18 posizioni e classificandosi al numero 119 è la Malesia, dove però il colpo di stato ha portato all’approvazione di un decreto “anti fake news” che però di fatto permette ai militari di imporre come legge la propria versione. Vanno registrati anche dei notevoli balzi in avanti, ed è sorprendente come provengano tutti dall’Africa. Il Burundi sale di 13 posizioni, la Sierra Leone di 10 e il Mali di 9, grazie a miglioramenti significativi nella situazione generale del paese: in Burundi sono stati liberati quattro giornalisti indipendenti, in Sierra Leone è stata abolita la legge sulla diffamazione a mezzo stampa e nel Mali sono drasticamente diminuiti gli attacchi ai giornalisti.

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L’indice regione per regione. Fonte: RSF

A livello regionale, senza ombra di dubbio l’Europa e l’America restano i posti in cui la libertà di stampa è maggiore, per quanto entrambi i continenti siano costretti a trascinare dei pesi: l’America che non trova pace a Sud dell’equatore e l’Europa con i suoi sovranismi nei paesi dell’ex Patto di Varsavia. L’Asia continua con le sue politiche di censura, eccezion fatta per il colosso cinese, è una pratica molto diffusa a tutte le latitudini del continente. Nonostante alcuni miglioramenti, invece l’Africa rimane comunque il continente più rischioso e violento per i giornalisti. Diverse criticità invece si registrano tra il Nordafrica e la regione del Medioriente: in Algeria e Marocco il sistema giudiziario viene spesso utilizzato per mettere a tacere i giornalisti, mentre è davvero superfluo parlare dei governi di Arabia Saudita, Siria ed Egitto, che hanno solo tratto vantaggio dalla pandemia da Covid per riaffermare la loro condizione autoritaria e limitante per la libertà di stampa.

Mario Mucedola

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