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Quando il sogno diventa realtà: la rivolta Comunarda di Parigi ha rivelato la possibilità di trasformare una realtà data per assodata grazie all’agire politico del movimento operaio. La Comune nasce dalle macerie del Secondo impero. A partire dal Congresso di Vienna in Francia si alternano governi monarchici e uno repubblicano, quello di Napoleone III. Ben presto però, il presidente si autoproclama imperatore, rivelando il suo populismo ante litteram. “La più bella aurora che abbia mai dato luce a una città, l’alba più splendente in cui si compivano le attese, i presentimenti, gli annunci dei tempi nuovi: i sogni, le utopie”. (Henri Lefebvre, filosofo e sociologo francese, definisce così la conquista di Parigi da parte dei comunardi).
Una Parigi depoliticizzata
La Comune di Parigi del 1871 spicca come esempio di riappropriazione della città e rivendicazione del diritto collettivo alla città in seguito a trasformazioni urbane che modificano radicalmente la morfologia della capitale. Si affida il progetto ad Hausmann, prefetto della Senna. E tra il 1850 e il 1870 Parigi viene ridisegnata per adattarsi a nuove esigenze urbane e sociali: l’obiettivo era quello di razionalizzare il tracciato stradale della città, al fine di favorire un maggiore flusso di merci e traffico e, dunque, di capitale. Hausmann concepisce la città su scala estremamente vasta, per contribuire a risolvere il problema del surplus del capitale e quello della disoccupazione di massa. I sobborghi vengono inglobati, alcuni quartieri ridisegnati completamente, si allontanano dal centro le fabbriche e quindi la classe operaia. Inoltre le strade vengono sostituite da ampi viali rettilinei che cancellano la struttura medioevale della città, in questo modo sarebbe stato più facile aggirare e assalire eventuali barricate. La nuova impostazione cittadina rispondeva al bisogno di controllo e protezione che la borghesia chiedeva. Di conseguenza, la vita urbana di Parigi è trasformata e depoliticizzata: diviene uno spettacolo, nel senso che il suo splendore mascherava la tensione tra classi sociali. La capitale non è più culla della socialità o luogo di azione collettiva: il suo corpo sociale viene a mancare e il cittadino diviene un semplice spettatore e consumatore.
Il popolo chiede libertà: l’Urbanesimo Rivoluzionario
La situazione precipita quando l’esercito del governo in carica, guidato da Adolphe Thiers, la notte del 17 marzo 1871, si impadronisce di Parigi. Il giorno successivo la popolazione insorge in nome dell’emancipazione e della libertà, con l’obiettivo di riappropriarsi dello spazio che Hausmann aveva sottratto. In questo senso la Comune getta le basi dell’urbanesimo rivoluzionario: considera lo spazio sociale in termini politici, riconosce la connessione tra strutture statali e politiche e critica la gerarchia esistente. Diviene simbolo di resistenza contro la formazione del sistema capitalistico-statale. La città è da intendersi come nodo simbolico e politico fondamentale e proprio durante i giorni della Comune diviene un insieme: un corpo in cui si fondono pratiche di autogoverno e di sovranità dal basso. Lo spazio urbano è sociale e politico: dunque i monumenti non sono innocenti. In quest’ottica si interpreta la demolizione della colonna di Vendôme. Celebra la gloria militare e il potere di Napoleone III, rappresenta il controllo imperiale sulla società: bisogna abbatterla, per indicare la nuova dimensione spaziale concordata in modo condiviso e collegiale. Ancora, la rivoluzione della spazio diviene esplicita con l’occupazione dell’Hotel de Ville, il municipio di Parigi, che significa la riconquista dello spazio politico come espressione della volontà popolare. Bisogna ripensare la città come prodotto della collettività.
L’attualità della Comune
La Comune è durata – soltanto – 72 giorni, prima di essere sconfitta militarmente durante quella che è stata definita la Semaine du sang. Ma il sogno e gli ideali dei comunardi possiamo dire che siano ancora attuali, dopo 150 anni? L’attualità sembra confermare questa ipotesi: si veda come esempio il nuovo protagonismo sociale e politico di associazioni e comitati che si prendono cura – nel significato etimologico del termine – dei quartieri di Roma, laddove la politica ufficiale ha fallito.
Roma: comunità ignorate dalla politica
Le periferie romane vengono da anni ignorate dalla politica, che le etichetta come luoghi di disagio, mentre in realtà rappresentano il fulcro di molte iniziative. Si attua una politica inclusiva, la partecipazione è spontanea e dal basso e comprende donne, giovani, migranti, che più soffrono la mancanza di una politica adeguata. Scelgono di autogovernarsi perché hanno perso fiducia nella politica di una sinistra che negli ultimi anni ha cercato compromessi, fino a perdere la propria identità. Dunque, realizzano ciò che le istituzioni non sono state in grado di fare. Nelle borgate romane le persone non sanno a chi chiedere aiuto, a chi rivolgersi e le amministrazioni vedono le periferie come un problema. Ha fatto scalpore l’affermazione di Zingaretti che invitava a uscire dai circoli e a tornare nelle periferie, perché c’è chi dalle periferie non se n’è mai andato e lì sta costruendo delle forme di mutuo-aiuto indispensabili per la comunità, ma non riconosciute dal sistema.
Lab! Puzzle
Un esempio di spazio conquistato e divenuto bene comune è il Lab! Puzzle, dove un tempo c’erano uffici abbandonati e impolverati. Ora c’è un “Esperimento di mutualismo e welfare dal basso”, che comprende diversi progetti, dalla scuola popolare all’atelier d’arte, dall’aula studio al co-housing e dalla scuola di fumetto allo sportello legale per tutelarsi. Un insieme di servizi preziosi realizzati dall’agire comune e collettivo infrangendo la legge, poiché la politica sembra inghiottire sogni e idee dei cittadini. La partecipazione è la parola chiave, l’elemento dirompente, e grazie ad essa gli abitanti definiscono le identità dei luoghi. L’idea di fondo è quella di una società che si nutra di cooperazione e non di competizione.
Lucha y Siesta
Un altro esempio è La Casa delle Donne Lucha y Siesta. Si tratta di una casa-rifugio per donne e minori in difficoltà, fondata nel 2007: “Un luogo materiale e simbolico di autodeterminazione delle donne contro ogni discriminazione di genere. […] Un progetto politico che promuove nuove formule di welfare e di rivendicazione dei diritti a partire dal protagonismo femminile”. Uno spazio sociale aperto da quattordici anni, che soltanto ora pare stia venendo riconosciuto come bene comune dalla regione Lazio. È un luogo che la comunità ha plasmato sulla base delle esigenze e ad essa appartiene; è uno spazio che unisce la cura delle relazioni a quella del luogo per produrre una trasformazione sociale. Sono passati 150 anni dalla Semaine du sang, ma il bisogno di costruire la città da parte di chi la vive non è cambiato poi tanto. Che ciò comporti l’opporsi a un potere autoritario o che porti ad attivarsi per colmare il vuoto lasciato da un potere visto come lontano, inefficiente e autoreferenziale. La città apparterà sempre a quella comunità che, come un alveare, si prende cura di essa come fosse la propria casa.
Erica Marconato
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