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Sono bastate 48 ore per frantumare un’idea che a detta di molti avrebbe rivoluzionato e scosso l’intero sistema calcistico. Un progetto all’apparenza solido e ambizioso, scioltosi però come neve al sole dopo i tanti interventi che hanno coinvolto figure non solo sportive, ma anche del mondo politico. La Super League, infatti, è per ora rimandata a data da destinarsi. Più della metà delle squadre ha deciso di riabbracciare mamma UEFA. Alla fine non ha vinto il calcio, non hanno vinto i tifosi e non ha vinto nemmeno la tanto osannata meritocrazia. Ha vinto la UEFA e tutto il sistema che circonda l’organo calcistico europeo.
La competizione
Una manifestazione a cui avrebbero partecipato 15 squadre di diritto in quanto membri fondatori. Delle 15 dichiarate nel progetto sono state in 12 a dare la loro adesione: Milan, Arsenal, Atletico Madrid, Chelsea, Barcellona, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Real Madrid e Tottenham Hotspur; tutte squadre che, a detta del presidente della Super League e del Real Madrid Florentino Perez, hanno un bacino di utenza pari al 90% dei tifosi di tutto il mondo. Le altre 3 squadre (probabilmente Paris Saint Germain, Bayern Monaco e Borussia Dortmund) non sono mai state annunciate. La competizione prevede inoltre l’ingresso di 5 squadre sulla base dei meriti sportivi conquistati nei rispettivi campionati nazionali. C’è il problema che la Super League occuperebbe le squadre durante la settimana, escludendole di fatto dalla Champions League, torneo organizzato dalla UEFA.
Il punto centrale, però, riguarda il compenso, che per ogni squadra partecipante ammonterebbe a più di 300 milioni di euro l’anno. Una notevole quantità di denaro che risanerebbe questi club dai debiti accumulati (aggiungiamo pure a causa propria) nel corso degli anni e permetterebbe una maggior circolazione di denaro a più livelli nel sistema calcistico mondiale. Da qui in poi è tutta un’altra storia. La decisione di questi club ha totalmente mandato in cortocircuito UEFA e FIFA, che non si sono risparmiate nemmeno con le minacce: multe salate, squadre escluse da campionati e Champions League e giocatori fuori dalle rispettive nazionali. Lo hanno chiesto a gran voce tutti, soprattutto i club non coinvolti in questa competizione, ritenuti da molti le vittime sacrificali di questo super-torneo.
La Super League come la NBA?
Difronte all’annuncio della Super League, molti hanno subito individuato un parallelismo tra la nuova competizione calcistica e la NBA, la massima lega professionistica di pallacanestro degli Stati Uniti, indicando in quest’ultima il modello a cui ispirarsi e puntare per concretizzare il progetto. Il paragone nasce dal fatto che la Super League vorrebbe essere un campionato chiuso, senza promozioni o retrocessioni (tranne che per le cinque squadre “jolly”), e interamente autogestito, in modo che i ricavi siano generati, amministrati e suddivisi esclusivamente da e tra i club coinvolti nella competizione. Esattamente come accade nella NBA.
Le analogie, però, si fermano qui. Il sistema NBA, infatti, si regge anche su tutta una serie di meccanismi e accorgimenti ad ora non previsti per la Super League, ma difficilmente applicabili al contesto sportivo europeo. Tra questi spiccano il salary cap (il tetto salariale), il draft (la “lotteria” per la selezione dei nuovi giocatori) e la trade (lo scambio di contratti fra giocatori), che permettono alla NBA di garantire l’equilibrio competitivo tra le squadre e il loro sostentamento economico.
Simili strumenti sono efficaci in uno scenario sportivo come quello statunitense, in cui la NBA rappresenta l’unica competizione del basket professionistico e non esistono settori giovanili per la pallacanestro (se non nel circuito dei college e delle scuole). In un contesto come quello europeo, fatto invece di competizioni nazionali e internazionali portate avanti in parallelo e ad ogni livello (junior/senior), e di giovani che approdano al professionismo ben prima di terminare gli studi, questi meccanismi non potrebbero inserirsi. Per farlo, servirebbe uno stravolgimento strutturale dell’intero sistema sportivo che, ad oggi, nessuno sembra interessato a realizzare.
Non hanno vinto il calcio e i tifosi
Si è tanto parlato di “attacco ai valori dello sport”, con la UEFA e il suo presidente, Aleksander Čeferin, pronti a ergersi a paladini del vero spirito calcistico. Quella stessa UEFA che introduce un fairplay finanziario che viene continuamente raggirato dai club più ricchi sostenuti economicamente da facoltosi petrolieri. O con la FIFA, che ha deciso di organizzare il prossimo mondiale in Qatar, un paese dove lo sfruttamento della manodopera per la costruzione degli stadi avviene alla luce del giorno. La decisa presa di posizione di questi due organi va ricercata, anche questa volta, nel fattore denaro: sponsor, pubblico e media sarebbero sicuramente più attratte da una competizione con le migliori squadre del mondo.
La Super League, secondo le stime, potrebbe infatti avere un bacino d’utenza e finanziario potenziale decisamente più ampio della stessa Champions League. Per come è stata presentata ha di fatto un solo problema: perché ci sono 15 squadre qualificate di diritto senza meriti sportivi? Questo è probabilmente il punto più delicato della vicenda. Discutere sul fatto che con questa nuova lega non ci sarebbero più le favole sportive (Ajax, Lipsia e Atalanta, tra i casi più recenti) e che a vincere sarebbero sempre le stesse squadre non regge. E basta controllare i vincitori delle ultime 10 edizioni dei campionati nazionali principali (ad eccezione della sola Premier League inglese) e della stessa Champions League per capire come queste “favole”, in realtà, siano già svantaggiate da un contesto dove da anni vige il monopolio delle squadre più blasonate e forti economicamente.
Totale squadre vincitrici | Club vincitori | |
Serie A | 2 squadre | Juventus (9),Milan (1); |
Liga | 3 squadre | Barcellona (6), Real Madrid (3), Atletico Madrid1(1); |
Bundesliga | 2 squadre | Bayern Monaco (8), Borussia Dortmund (2); |
Ligue 1 | 4 squadre | Paris Saint-Germain (7), Lille (1), Montpellier (1), Monaco (1); |
Premier League | 6 squadre | Manchester United (2), Chelsea (2), Manchester City (4), Leicester (1) e Liverpool (1); |
Champions League | 5 squadre | Barcellona (2), Bayern Monaco (2), Real Madrid (4), Liverpool (1), Chelsea (1); |
Il modello americano
L’idea di una lega autogestita, autofinanziata e autoregolamentata avvicina sicuramente la Super League alle grandi federazioni americane, ma la differenza di ritorno economico tra il modello europeo e quello americano rimane abissale. Nel 2020 la UEFA ha ricavato 3,25 miliardi dalla Champions League mentre NFL, MBL e NBA hanno il doppio dei ricavi. Considerando il seguito del calcio, indubbiamente maggiore rispetto a quello di basket, football americano e baseball, è doveroso prendere atto di come l’organizzazione calcistica sia indietro anni luce a livello di promozione, vendita e competitività.
La tanto citata meritocrazia negli sport americani è evidente: negli ultimi 10 anni la NFL e l’MBL contano 8 vincitori diversi, la NBA 7. UEFA e FIFA, con la situazione economica in ginocchio anche a causa della pandemia, devono comprendere che il calcio così come lo conosciamo sta perdendo terreno e ricavi su tutti gli altri sport. Aumentare il numero di squadre della Champions League non aumenterebbe il bacino d’utenza della competizione. C’è bisogno di qualcosa di davvero innovativo, sia a livello di competizione che di struttura, in modo da limitare i rischi di fallimento delle squadre più blasonate e garantire una competizione più equilibrata ed avvincente.
L’esempio dell’Eurolega
La soluzione potrebbe arrivare dal mondo della palla a spicchi, in particolare dall’Eurolega, la massima competizione cestistica del continente. Nata nel 2000, si tratta di un campionato privato ad alto livello che prevede la partecipazione di 13 top-club europei (fra cui l’Olimpia Milano, unica rappresentante italiana) sulla base di licenze pluriennali, a cui si aggiungono le finaliste dell’EuroCup e 3 squadre inserite con wild-card o licenze più brevi, concesse sulla base di stringenti criteri economici, progettuali e strutturali. È di fatto un torneo elitario e semi-chiuso, in cui le retrocessioni non colpiscono le squadre con licenze pluriennali. Una struttura simile, dunque, a quella che si vorrebbe dare alla Super League.
Inoltre, alla sua nascita anche l’Eurolega era stata oggetto di numerose critiche, le stesse che oggi vengono mosse al super-torneo, e fortemente ostacolata dalla FIBA (il corrispettivo cestistico della UEFA). Nonostante ciò, nel giro di pochi anni è riuscita ad imporsi come la più importante e remunerativa competizione europea del settore. Che la storia sia destinata a ripetersi anche nel mondo del pallone? Forse. Certo è che il calcio, già da qualche decennio, è uno sport dove al centro non ci sono più tifosi e bandiere, ma i soldi, e guardare al sistema dell’Eurolega potrebbe, allora, essere l’unico modo per continuare ad esistere.
Andrea Cicalò, Giulia Battista
E’ uno dei peggiori articoli che abbia mai letto.
-Ognuno dovrebbe tifare la squadra della propria citta
-Nell’articolo leggo “modo da limitare i rischi di fallimento delle squadre più blasonate”: perchè bisogna limitare il fallimento delle squadre blasonate tifate dai gloryhunters, tifosi modaioli, e non invece limitare il fallimento di club come Palermo, Parma, Glasgow Rangers che sono finiti nei dilettanti e con umiltà sono tornate su? E poi leggo meritocrazia nell’articolo?
-Nell’Eurolega e nell’NBA non c’è meritocrazia perchè non si retrocede, non è sport. L’articolo inoltre, in modo superficiale, non prende in considerazioni le enormi responsabilità dei dirigenti di inter mila e juve che hanno gestito i loro club nonostante i grandi introiti in modo dozzinale.