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Il 25 aprile e la vittoria partigiana in nome della libertà

2 ' di lettura

Prima

Il 25 aprile, festa della Liberazione, è ancora oggi la celebrazione più divisiva in Italia. Ogni anno ci sono esponenti politici che dichiarano apertamente di non voler festeggiare il 25 aprile. Fece scalpore il motto di Salvini “I nuovi partigiani siamo noi” quando nel 2004 organizzò quattro incontri a Milano per discutere dei partigiani che combatterono “Dall’altra parte rispetto ai rossi in piazza”. In Veneto ogni anno il governatore Zaia ci tiene a festeggiare la Festa di San Marco, che ricorre proprio lo stesso giorno. Insomma mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella puntualmente partecipa alle cerimonie in ricordo dei caduti per la libertà, dai banchi della politica c’è chi fa i capricci dichiarandosi super partes, “Mi interessa poco il derby fascisti-comunisti: mi interessa liberare il nostro Paese da camorra e ‘ndrangheta”.

Si tratta infatti di una data spartiacque, segna la divisione tra il un prima e un dopo.

L’Italia era dominata da un regime fascista, che portò a cinque anni di guerra. Causò la morte di 472.000 di italiani, di cui un terzo civili. Portò distruzione, odio, violenza. Privò i cittadini dei loro diritti inalienabili come la libertà, la dignità, la sicurezza. 

La parola «Resistenza»

Per giungere al 25 aprile del 1945 l’Italia attraversa un periodo che gli storici indicano con il termine “Resistenza”. In questo modo si definisce la guerra per bande che dura venti mesi – dal settembre del 1943 all’aprile del 1945. I combattenti vengono chiamati partigiani ed erano soprattutto ragazzi con un desiderio di rottura rispetto al passato. Lottavano per un mondo nuovo, libero. Attorno alla Resistenza si raccoglievano anime diverse tra loro, spinte però dalla voglia di riscatto umano. I partigiani non hanno mostrato soltanto di avere coraggio, ma in particolare di nutrire una forte idea di pace e uguaglianza.

Oh, partigiano!

Partigiano è colui che prende parte, che si schiera, come dice la parola stessa. Il termine veniva usato dai repubblichini e dai tedeschi per indicare le persone che “parteggiavano” contro di loro. La parola indica fin dal principio clandestinità e pericolo, al partigiano scoperto spettava la fucilazione.

E questo è il fiore del partigiano
Che è morto per la libertà

Chi fa la Resistenza in Italia non sa di farla, si sente e si definisce soprattutto un ribelle. Ed è in effetti questo: un re-bellis, “colui che ritorna a fare la guerra”, colui che si oppone ostinatamente al potere costituito, alla legge, e più in generale a una prescrizione. Tra le fila dei partigiani ci sono persone che avevano già combattuto e che dopo l’armistizio sono salite in montagna per combattere.

Dopo

Il 25 aprile di 76 anni fa rappresenta simbolicamente la fine della dittatura e l’inizio del riscatto nazionale, nato dalla rivolta morale nei confronti del fascismo. La Resistenza porterà alla nascita della Repubblica Italiana e alla stesura della Costituzione. Il 25 aprile non dovrebbe essere una celebrazione che divide gli italiani, ma dovrebbe ricordarci i partigiani caduti che hanno lottato per “la salvezza dell’umanità”, come scrive Luigi Meneghello ne I piccoli maestri.

Erica Marconato

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