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Il triangolo di Bir Tawil, la terra di nessuno che tutti vogliono

3 ' di lettura

Secondo il dizionario, il confine è una linea convenzionale che serve per separare due Stati diversi per cultura o organizzazione politica. spesso viene tracciata lungo linee naturali prestabilite e invalicabili come mari, fiumi o catene montuose. Se certi confini naturali sono insindacabili – le Alpi e Pirenei, per dirne due –, certi altri sono spudoratamente arbitrari – come quelli geometrici tracciati in Africa durante l’epoca del colonialismo, per esempio. È in questo contesto topografico che comincia l’assurda storia del triangolo di Bir Tawil, la terra di nessuno.

Breve storia del triangolo di Bir Tawil

Negli anni ‘80 dell’800, il territorio dell’attuale Sudan passò sotto al controllo inglese dopo una serie di vicissitudini al limite del cinematografico. Tutto era cominciato quando Muḥammad Aḥmad aveva unito le tribù sudanesi, si era autoproclamato Mahdi – una specie di figura messianica che nella fede islamica rappresenta una sorta di salvatore dell’umanità alla fine dei tempi – e aveva fomentato una rivolta contro il governo egiziano. L’Egitto, all’epoca, era di fatto governato dagli inglesi, quindi furono questi ultimi a intervenire militarmente con Charles Gordon.

Gordon era una superstar della guerra: aveva combattuto ovunque – Crimea, Cina, Nord Africa –. Era rispettato da tutti e aveva un soprannome per ogni luogo da cui era tornato vittorioso. Quindi era il Cinese o l’Africano a seconda di quale momento della sua vita si stesse raccontando. Gli uomini di Gordon rimasero barricati dentro la capitale Khartum per dieci mesi, tentando di difendersi dagli assedianti del Mahdi e soprannominando il loro comandante Gordon di Khartum.

Alla fine, a seguito di un tradimento, gli assedianti riuscirono a entrare, decapitare il generale inglese e portare la sua testa a Muḥammad – che però morì poco dopo di tifo. Gli inglesi, irritati, inviarono una spedizione punitiva che riconquistò Khartum e poi tutto il Sudan.

Bir Tawil
Muḥammad Aḥmad ibn al-Sayyid ʿAbd Allāh ibn Faḥl, detto il Mahdi

Il triangolo no, non l’avevo considerato

Nel 1899, i topografi di Sua Maestà tracciarono un nuovo confine fra Egitto e Sudan lungo il 22° parallelo. Il problema, però – nonostante il 22° parallelo cadesse in mezzo al deserto –, era che molte tribù culturalmente vicine al Sudan si ritrovarono in Egitto. Nel 1902, gli inglesi corsero ai ripari: a sud del confine crearono il triangolo di Bir Tawil e lo diedero all’Egitto; a nord, invece, istituirono il triangolo di Hala’ib e lo consegnarono al Sudan.

In seguito alle indipendenze dei due Stati e alla scoperta di giacimenti d’oro e petrolio nel triangolo di Hala’ib, però, la situazione divenne insostenibile: l’Egitto rivendicò la zona impugnando il confine del 1899; il Sudan, al contrario, fece valere quello del 1902; ad oggi la contesa è ancora aperta e nessuno ha più voluto sapere niente di Bir Tawil, perché avanzare pretese su un triangolo avrebbe significato cedere i diritti di quell’altro.

I sovrani di Bir Tawil

Nessuno vuole il triangolo di Bir Tawil perché non ha le ricchezze di Hala’ib, né nient’altro – solo sabbia e sassi. Sembra assurdo che nessuno voglia inglobarlo – anche solo per non lasciarlo a se stesso –, ma la storia coloniale inglese è altrettanto assurda, complicata e piena di manipolazioni senza fine, quindi lo stupore è contenuto. Prendiamo come emblema Cecil Rhodes, che fondò una compagnia commerciale con annesso piccolo esercito privato. Usò i suoi soldi e la sua influenza per fare quello che voleva in un territorio africano fondamentalmente lasciato a se stesso; fu così umile da creare da zero uno Stato e chiamarlo come lui – la Rhodesia, appunto. Oggi è ricordato per la frase “annetterei i pianeti, se potessi”.

In ogni modo, non è esattamente vero che Bir Tawil non interessa a nessuno.

Nel 2014, il signor Jeremiah Heaton – Abingdon, Virginia – rivendicò Bir Tawil per la figlia di sette anni. La bambina, da grande, sognava di fare la principessa, così suo padre prese un aereo e andò a piantare in mezzo al deserto la bandiera disegnata dai figli. Dopo aver fatto richiesta all’ONU per il riconoscimento ufficiale, l’idea di Heaton era creare un’agricoltura sostenibile e una centrale fotovoltaica per vendere energia all’Egitto.

Tre anni più tardi, l’indiano Suyash Dixit – “primo del suo nome e protettore del regno”, come si legge sul profilo Facebook – si proclamò re di Bir Tawil. Nominò suo padre presidente e di fatto causò una “guerra” con Jeremiah Heaton. Il 15 novembre 2017, il signor Dixit scrisse un lungo post su Facebook in cui chiariva la sua posizione e quella di Heaton rispetto al territorio: “Un sacco di persone mi chiedono chi sia il re. La verità è che dipende a chi si fa la domanda. Heaton è il re del suo regno, io del mio. Siamo arrivati nello stesso posto in due momenti diversi, ma le nostre idee sono allineate”.

Suyash predisse anche che in futuro diverse nuove persone avrebbero senza dubbio rivendicato il triangolo. E in effetti su Internet apparvero i blog di Re Giorgio I, dell’imperatore Nico Kaikkonen I e del Re Daniele I di Danielelandia – tutti autoproclamatisi sovrani di Bir Tawil. Nessuno di questi tentativi andò o andrà mai a buon fine, ovviamente, perché non basta piantare una bandiera o dire di possedere un territorio per possederlo effettivamente. Secondo le leggi del diritto internazionale, uno Stato sovrano deve avere leggi, organi politici, confini ben delimitati, istituzioni e cittadini che accettano di far parte di quella Nazione. Tutte cose che né Heaton né Dixit possiedono.

Il post su Facebbok di Suyash Dixit
Qual è la morale?

Qual è la morale? Il colonialismo 2.0 che permette di rivendicare territori di nessuno digitando su Google? Che l’amore per i figli fa compiere gesti così pazzi da sembrare uno scherzo? Che Il Trono di Spade ha influenzato troppo la vita di Suyash? Una riproduzione in miniatura di ciò che per secoli gli europei hanno fatto in Africa e in altri luoghi? Forse, più semplicemente, è solo un’altra assurda storia umana.

Alessandro Mambelli

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