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Può un’opera d’arte essere al centro di un affare internazionale che rischia di incrinare i rapporti diplomatici tra due paesi? Si, se il quadro è il “Salvator Mundi” e la disputa è tra il Louvre di Parigi e il principe Mohammed bin Salman, che risulta essere il proprietario dello stesso.
Il “Salvator Mundi” è una tavola dipinta ad olio, di circa 66×45 centimetri, risalente al 1500 circa ed attribuita a Leonardo da Vinci. Il quadro è stato esposto per la prima volta solo nel 2011 in una mostra alla National Gallery di Londra, dopo aver subito un importante restauro che ne ha riportato alla luce alcune caratteristiche che hanno poi portato ad individuare con maggiore sicurezza che la mano dietro il pennello fosse proprio quella di Leonardo. Il “Salvator Mundi” raffigura Gesù Cristo nella classica iconografia di questo tipo di dipinto, con la mano destra alzata a impartir benedizione e una sfera nella mano sinistra, a simboleggiare il potere universale.
Originale o lavoro «di bottega»?
Alcuni dettagli “grezzi”, se pensiamo al Leonardo a cui siamo abituati, destavano dubbi sulla reale firma del genio toscano. Si pensava piuttosto a un lavoro proveniente dalla bottega dell’artista, per questo nel 2011 viene acquistato da Dmitri Rybolovlev, già presidente dell’AS Monaco, per una cifra tutto sommato bassa, appena 108 milioni di euro, tanto più significativa se si pensa che la prima stima, fatta dal Wall Street Journal, era di circa 200 milioni. Nel 2017, Rybolovlev stesso incaricò la casa d’aste Christie’s di New York di rivendere il quadro che, per 381 milioni di euro, andò a finire ad un emiro saudita, vicino a bin Salman, che sarà poi nominato ministro della Cultura forse per aver dato, con questo acquisto, impulso al famoso nuovo rinascimento saudita.
Nel 2018 l’Arabia Saudita ha chiesto un parere al Centre de Recherche et Restauration des Musées de France, laboratorio interno al Louvre all’avanguardia sull’analisi delle opere d’arte, ed il centro avrebbe fugato ogni dubbio sull’attribuzione a Leonardo ma le analisi del centro non combaciano con le conclusioni che il Louvre stesso ha tratto: secondo il museo, infatti, l’apporto di Leonardo sarebbe minimo. Sarebbe un lavoro della sua bottega, in sostanza. Sulla base di queste deduzioni, il Louvre si sarebbe rifiutato di esporre il “Salvator Mundi” nelle sue sale in occasione della mostra dell’anno successivo, che avrebbe celebrato il cinquecentenario di Leonardo.
Una questione politica, più che artistica
È pur vero che le condizioni poste da bin Salman per l’esposizione erano pretenziose: il legittimo proprietario dell’opera pretendeva che l’ultimo arrivato fosse presentato nella Sala 6 dell’Ala Denon, proprio dove c’è l’iconica Monna Lisa, come a legittimare definitivamente il “Salvator Mundi”, a statuire una volta e per sempre la firma leonardesca. Sarebbe stato questo il punto di rottura tra sauditi e francesi. Per il museo infatti, al di là del significato dell’esposizione contigua delle due opere, si sarebbe creato anche un problema di ordine pubblico, viste le particolari misure di sicurezza che proteggono la Gioconda e considerata la previsione di grande affluenza di pubblico.
A questo punto, secondo un documentario andato in onda in settimana su France 5, chiamato La stupéfiante affaire du dernier Vinci, sarebbero persino entrate in gioco delle pressioni politiche da parte di alcuni membri del governo francese, come l’allora ministro degli Esteri Jean-Yves le Drian, per cercare di accontentare le richieste arabe. Sarebbe stato il presidente Emmanuel Macron a prendere in mano la situazione e respingere la richiesta, autorizzando così il Louvre a non esporre l’opera.
Ad ogni modo l’opera non è stata esposta al Louvre e continua a destare polemiche e sollevare dubbi. Ultimi rilievi sembrerebbero garantire che l’apporto di Leonardo sarebbe soltanto relativo ai capelli e ad alcuni drappeggi dell’abito del Cristo. Ed in realtà confrontando il quadro con una qualsiasi opera vinciana si ha un senso di “piattezza” bidimensionale a cui Leonardo non ci ha certo abituato. Si renderebbero necessari ulteriori studi, ma dopo la prima mostra del 2011, quella alla National Gallery, nessuno ha più visto il quadro. Appartiene al Dipartimento di Cultura e Turismo di Abu Dhabi ma al momento l’ubicazione è sconosciuta.
C’è chi garantisce che sia al sicuro nel caveau di una banca, chi addirittura sostiene che sia appeso nello yacht di bin Salman. L’unica certezza è che l’Arabia Saudita rifiuta di prestare un quadro di sua proprietà per vederlo esposto come «lavoro di bottega», sarebbe considerato un affronto politico, più che artistico. È il rischio che si corre quando si lascia che patrimoni dell’umanità intera vengano consegnati agli interessi patrimoniali dei privati.
Mario Mucedola
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