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Se ti senti solo potresti provare questo videogame

3 ' di lettura

Se ti senti solo potresti avere bisogno di un videogame. Ci sono molti aspetti, messi in luce dalla pandemia, rispetto allo stile di vita che eravamo soliti condurre. In condizione di isolamento sono emersi più frequentemente disagi mentali; costretti in casa, sono saltate fuori tanto la resilienza quanto le fragilità di ognuno: in una parola, l’assenza di contatto umano più facilmente ha permesso di sperimentare la solitudine.

Più soli, ma anche più videogame

Sono i giovani a subire maggiormente le conseguenze dell’isolamento – spiega Il Sole 24 ore – lo dichiara chi ha tra i 18 e i 34 anni. Ma forse e in modi diversi, questo messaggio può servire a tutti. L’emergere del senso di solitudine si può correlare anche un altro dato: secondo il nuovo rapporto realizzato da IIDEA, l’associazione di categoria dell’industria del videogioco, c’è stato un boom di mercato per quanto riguarda il consumo di videogame. Al netto di questa evoluzione, al giorno d’oggi apatia, disturbi dell’attenzione, crisi di motivazione, rappresentano segnali di una società che dedica scarsa consapevolezza alla dimensione motivante e coinvolgente delle attività sociali. Significa anche, parlare dei videogiochi come modello per unire apprendimento, libertà di scelta, riflessione, problem-solving ed esercizio della fantasia. Una chiave di lettura positiva che accende i riflettori su aspetti opposti al filone di tematiche legate a ludopatia e dipendenze, che animano il dibattito attorno alle ormai note figure degli hikikomori. I creatori di videogame hanno da tempo intrapreso strade e narrazioni che tengono in conto l’evoluzione del medium in strumento in grado di adottare il linguaggio delle emozioni, rendendo i videogiochi un elemento costruttivo nello sviluppo di capacità personali. E questo ha molto a che fare con la solitudine. In altre parole: e se il gioco apportasse beneficio a noi stessi, aiutandoci a comprendere cosa stiamo provando?

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Sea of solitude

Se ti senti solo, insomma, dovresti conoscere Kay. A prima vista, del suo essere ragazza è rimasto poco: la sua anima corrotta l’ha resa mostruosa. Non cattiva, non un nuovo Grinch, Kay è quanto di lei riesce a vedere, dopo il vortice di solitudine e angoscia che ha provato. Premuto play, il giocatore si ritrova nel mare delle sue lacrime, un modo ondoso in cui affrontare gli essere inquietanti che popolano la sua vita. Il suo zaino arancione, l’unico oggetto colorato che possiede, aumenta di volume ogni volta che Kay non riesce a gestire le sue emozioni. Siamo in Sea of Solitude, il videogioco ideato dalla game designer Cornelia Geppert, prodotto da Jo-Mei e disponibile per Nintendo Switch da luglio 2019. Che l’avventura abbia inizio! Il moto interiore di Kay si riflette nel tempo atmosferico, grigio e piovoso. Quando il suo zaino diventa troppo grande, scoppia e Kay non potrà fare altro che affrontare i propri demoni: il fratello bullizzato, i litigi dei genitori separati, la depressione del suo ragazzo. Hanno tutte le sembianze mostruose, a volte celate dai gelidi occhi di un lupo bianco. Sea of solitude è la chiara simbologia di un dramma familiare che non può essere rimandato. Ma è anche una storia vera – quella della sua creatrice – divenuta espressione artistica, perché questo fanno gli artisti quando sperimentano la propria miseria: la riversano nel loro lavoro. Cornelia Geppert era finita intrappolata in un legame emotivamente violento, con l’uomo che aveva contribuito al suo isolamento personale. Come Kay, ha inizio il suo percorso di rinascita quando è costretta ad affrontare i due potenti nemici: autodistruzione e insicurezza.

Loneliness e solitude

C’è una questione però, da risolvere legata alla lingua italiana, se parliamo di solitudine: l’inglese invece, dissolve l’ambiguità dei termini distinguendo loneliness da solitude. La prima è la solitudine soggettivamente percepita, una condizione spiacevole e dolorosa che prescinde da fattori esterni. È qualcosa che si desidera non provare e che si verifica quando manca la condivisione di vicinanza emotiva, psichica, spirituale con l’altro e con se stessi. Se non affrontata può degenerare in stati di depressione. Ma la solitudine può essere una condizione positiva e ricercata: quando si sceglie di allontanarci volontariamente dagli altri, per adottare una strategia e una ricerca di senso in noi stessi, veicolando i propri pensieri nell’auto-esplorazione. Chi vive la solitude non si sente abbandonato, non percepisce il vuoto, perché è coinvolto con se stesso. In questo caso la solitudine diventa benessere e può essere considerata una conquista per l’uomo. Succede a Cornelia, e quindi alla sua Kay: quando scelgono di abbracciare tutte le emozioni che le abitano, possono finalmente bilanciarle e comprendere che ci sono delle volte in cui non si sta bene.

Giocare e comprendere le proprie emozioni

Sebbene Sea of Solitude non sia una terapia e non abbia l’intenzione di sostituirsi a un rapporto analitico terapeutico, c’è una notizia: anche i videogiochi – in quanto media empatici e in forza della loro capacità d’uso massiccia – possono diventare esperienza di fruizione attiva a tal punto da inglobare in essi messaggi e storie che hanno un effetto positivo su chi le fruisce. Una tendenza sempre più diffusa nello storytelling adottato dai nuovi media, che sembrano aver compreso che la capacità di adottare il linguaggio emotivo non è più solo qualcosa da sperimentare attraverso i videogiochi, ma una naturale evoluzione del medium. Sea of solitude insomma, è una storia per tutti, anche per chi si è ritrovato spiazzato dal lockdown che ha bruciato ogni forma di socialità, e fatto emergere uno stato di inquietudine personale che vale la pena non lasciare irrisolta. Se ti senti solo, puoi comprare una consolle e salire a bordo della tua imbarcazione personale, o regalare questa possibilità a qualcuno che conosci. La pandemia ci ha rivelato il nostro analfabetismo emotivo, suonando l’allarme: è ora di prenderci cura di noi.

Sofia D’Arrigo

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