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Italia sì, Italia no: la fake news di Manzoni sui moti del 1820 e 1821

4 ' di lettura

Il 17 marzo è il compleanno dell’Italia, una signora che tutto sommato si porta bene i 160 anni che ha. Se convenzionalmente l’Unità del Paese si festeggia oggi, anniversario della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, non è sbagliato dire che quella data indica la fine di un processo iniziato almeno 40 anni prima, cioè a circa duecento anni da oggi.

Il Congresso di Vienna e l’Italia restaurata

Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo, le potenze europee riunite nel castello di Schönbrunn – senza Sissi e senza regole di distanziamento sociale – nel 1814 diedero vita al Congresso di Vienna. Obiettivo di tale consesso era ridisegnare la cartina politica dell’Europa, sconvolta dalla Rivoluzione francese e dal periodo bonapartista e sancire l’epoca della cosiddetta Restaurazione. Il Congresso basò le proprie decisioni su due principi fondamentali: il principio d’equilibrio che – appunto – equilibrava di fatto i vari paesi Europei di modo che nessuno potesse ambire alla supremazia territoriale e soprattutto il principio di legittimità, che insediava nuovamente sul trono i monarchi decaduti in seguito al ciclone napoleonico.

Jean-Baptiste Isabey, Il Congresso di VIenna, 1819

L’Italia fu sistemata a colpi di accetta, la geografia territoriale venne aggiornata e rimasero una decina di stati: il Nord era diviso tra il Regno di Sardegna, sotto la casa reale italo-francese dei Savoia che comprendeva Piemonte, Val d’Aosta e i territori della Repubblica di Genova, che non venne ricostituita. Il resto del Nord, dalla Lombardia al Friuli venne invece unificato nel Regno Lombardo-Veneto, direttamente controllato dall’Austria, cui furono aggiunti anche i territori della Repubblica di Venezia che, neanche questa ripristinata.

Il Centro-Nord invece mantenne il suo storico assetto frammentato, ma piegato comunque ad un rapporto molto stretto con Vienna: se il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena e il Ducato di Massa e Carrara venivano direttamente controllati da rami della famiglia reale degli Asburgo austriaci, il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla venne assegnato a mo’ di “risarcimento” alla Gigia, Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone.

Il Ducato di Lucca infine, fu assegnato ai Borbone di Parma, ramo cui apparteneva Maria Luigia, che fondeva le monarchie francesi e austriache. Pochi sconvolgimenti riguardavano il Centro, con lo Stato Pontificio sotto il potere temporale del Papa, la Repubblica di San Marino che indipendente era e indipendente rimaneva (seppur legata a Vienna da accordi commerciali) mentre nel Regno di Napoli, Gioacchino Murat fu deposto per preparare il ritorno di Ferdinando IV di Borbone. Quest’ultimo, dopo aver unificato i territori napoletani con quelli del Regno di Sicilia, cambiava il nome dello Stato ed assumeva la denominazione di Ferdinando I delle Due Sicilie.

La futura Italia nella sistemazione postcongressuale

Prime crepe nei regimi restaurati

Una volta ritornati al trono, tutti i sovrani ottriarono una Costituzione – atto stabilito dal Congresso più che sentito dai monarchi – ma la dominazione straniera dava agli Stati un aspetto null’altro che coloniale, impedendo la formazione di una dinastia nazionale e lasciandosi andare ad atti spesso repressivi, talvolta di pura vendetta nei confronti del popolo che aveva voltato loro le spalle solo pochi anni prima. Un esempio su tutti: nel Regno delle Due Sicilie, nonostante la proverbiale parsimonia regale, non si esitò a dividere i trecentomila ducati che avanzavano dal bilancio dello Stato del 1820 tra i ministri, benché la somma necessitasse di essere spesa per completare la rete di strade ed infrastrutture in Calabria o per alleggerire il prezzo delle terre acquistate dai censuari nel Tavoliere delle Puglie.

Dalla Spagna, intanto, iniziavano a soffiare venti rivoluzionari: una rivolta militare che ben presto arrivò fino a Madrid, costrinse Ferdinando VII ad adottare la Costituzione, sul modello della Costituzione di Cadice del 1812, redatta per contrastare il modello assolutistico napoleonico. Sulla scia di questa “primavera mediterranea” la Sicilia, che mai aveva digerito del tutto l’accorpamento con Napoli, si organizzò attorno a Giuseppe Alliata di Villafranca, che riuscì a riunire baroni e ceti popolari in un movimento di protesta che si ribellò al re Borbone e fondò un governo a Palermo che, riunita l’assise parlamentare, promulgò nuovamente la costituzione siciliana del 1812, ispirata anch’essa a quella gaditana.

Le rivolte di Napoli e Torino

Le notizie che arrivavano da Palermo, galvanizzavano la carboneria e la massoneria napoletana che, grazie all’apporto di alcuni alti ufficiali come i generali Guglielmo e Florestano Pepe, il tenente Michele Morelli e il suo sottotenente Giuseppe Silvati, il magistrato Giustino Fortunato oltre a letterati come Domenico Oliva e un personaggio influente come il sacerdote anarchico Luigi Minichini, organizzò una cospirazione guidata dai militari che non aveva però lo scopo di rovesciare il regime borbonico, bensì solo quello di “strappare” una carta costituzionale a Ferdinando I che, di fronte all’ammutinamento del suo esercito, dovette arrendersi e concedere sia una carta ispirata a quella di Cadice, sia le elezioni del Parlamento napoletano.

L’ingresso delle truppe carbonare a Napoli

La situazione piemontese era invece maggiormente programmatica: i borghesi e liberali del territorio sabaudo volevano impegnare Vittorio Emanuele I di Savoia a concedere una costituzione al popolo, cosa che gli avrebbe permesso di accreditarsi come sincero patriota, nell’ottica di assumere la leadership del futuro movimento di liberazione nazionale che, come primo atto, avrebbe dovuto liberare i territori del Regno Lombardo-Veneto dalla dominazione austriaca. Vittorio Emanuele I invece, aveva tutt’altra mira: rientrava infatti in quella schiera di sovrani “vendicativi”, che stavano applicando un regime assolutistico e repressivo una volta restaurati sul trono.

Carbonari e borghesi piemontesi allora, si organizzarono attorno a Carlo Alberto di Savoia, unico esponente del casato sabaudo ad essersi da sempre dimostrato solidale con le istanze antiaustriache. Il Conte Santorre di Santarosa, anima dei moti piemontesi, diede allora l’ordine ai reparti militari di muoversi. Ad Alessandria, il 10 marzo, fu issata per la prima volta la bandiera tricolore. Seguirono l’insurrezione i reparti di Vercelli e Torino e si arrivò ben presto al Pronunciamento, un proclama in cui si decise l’adozione della Costituzione improntata sull’ormai già citata carta spagnola del 1812. Vittorio Emanuele I fu così costretto ad abdicare in favore di Carlo Alberto di Savoia, che tuttavia ritrattò la propria posizione e pur di non concedere il documento, abdicò a sua volta in favore di suo fratello Carlo Felice che nemmeno si trovava a Torino, il quale però proclamò la costituzione.

Alessandro Manzoni ritratto da Francesco Hayez, 1841

Manzoni il disinformatore

L’entusiasmo per l’apparente successo dei moti piemontesi, spinse Alessandro Manzoni a scrivere una poesia fondamentale nella letteratura italiana come “Marzo 1821“, in cui il poeta in un moto visionario immagina già i Savoia a varcare il Ticino, confine tra i due stati del Nord, per liberare la Lombardia dal giogo austriaco, scrivendo una delle strofe che poi saranno da riferimento per il Risorgimento italiano:

Soffermati sull’arida sponda
vòlti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,
han giurato: non fia che quest’onda
scorra più tra due rive straniere;
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!

Manzoni, però, non fa i conti con l’Europa e con la superpotenza austriaca che, forte del miglior esercito europeo, in pochissimo tempo, con spedizioni mirate e veloci, attua una repressione spietata nei confronti di tutti i moti insurrezionali. Da Palermo a Torino l’esercito austriaco arriva e scioglie i Parlamenti, rigetta le Costituzioni e riporta la situazione a quella sancita dal Congresso, rendendo Manzoni, nei fatti, il primo grande diffusore di fake news su quello che, di lì a pochi anni, sarebbe diventato il territorio italiano.

Mario Mucedola

One Comment

  1. […] tre tappe fondamentali nella costruzione dell’Italia. E se – come abbiamo detto nello scorso articolo – la prima è stata rappresentata dai moti del 1820-21, la seconda puntata non può che […]

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