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Guasta, per una ferita che non si rimargina, la Terra ha perduto la possibilità di generare nuovi frutti. L’insostenibile impatto esercitato dalla specie umana sul pianeta ha generato infatti, evidenti squilibri che stanno rendendo precaria la sua stessa vita. Giunti nell’era dell’Antropocene, ciò che paradossalmente lo sviluppo industriale ha provocato nel corso dei secoli è stato un aumento della povertà assoluta ed una evidente crisi ecologica.
Agricoltura intensiva e Land Grabbing
In India, che non soffriva più di carestie dal 1942 -scrive Shiva Vandana- i casi di morte per la fame stanno vertiginosamente aumentando. Ad evidenziarne l’aumento i dati di un’inchiesta governativa del 1991, che indagava la morte di circa ottomila bambini per denutrizione. L’indagine rivelò che prima dell’avvento del libero mercato e della globalizzazione, nessun bambino di età compresa tra 0 e 6 anni era morto per mancanza di cibo. Nel 2007 ben il 47% delle morti in età infantile riscontrato in India è proprio invece per fame.
Venivano privatizzate –per mano dei magnati dell’agricoltura intensiva– le terre dedite alla coltura collettiva. Tale fenomeno economico è conosciuto come land grabbing, cioè l’accaparramento forzato delle terre. Le grandi imprese transnazionali, attraverso accordi negoziati fra governi, acquistano fra i paesi più poveri del mondo le loro terre per garantirsi la sicurezza alimentare e l’abbattimento delle tasse doganali. Per attrarre gli investimenti avevano luogo delle vere proprie guerre al ribasso fra paesi che si illudevano di poterne trarre vantaggio, almeno in termini di sicurezza alimentare. Questi investimenti tuttavia non si inseriscono in un sistema organico di creazione di vie di commercializzazione, di sviluppo, di infrastrutture, ma sono capitali impiegati molto velocemente che devono portare ricavo nel giro di poco tempo, causando rapporti di puro sfruttamento.
E se da una parte del mondo c’è chi muore di fame dall’altra c’è chi muore per il troppo cibo.
L’agricoltura preindustriale
Nell’agricoltura preindustriale -in cui veniva rispettato il tempo di riposo della terra o maggese– la grande rivoluzione fu l’utilizzo sistematico di alcune piante di cui si era scoperto il valore altamente fertilizzante. Nella porzione di terra che veniva fatta riposare si coltivavano le leguminose, anche come foraggio per gli animali da allevamento. Per la prima volta nella storia, agricoltura e allevamento si riunivano, con vantaggio non solo per l’alimentazione e la cura degli animali, ma anche per l’agricoltura, che ora aveva a disposizione letame in abbondanza con cui concimare la terra.
Oggi invece, l’agricoltura e gli allevamenti, vale a dire il settore che provvede alla nostra alimentazione, sono divenuti, a causa di un utilizzo non responsabile della tecnologia moderna, uno degli ambiti più inquinati ed inquinanti dell’economia globale. Lo sfruttamento della terra si è intensificato negli ultimi cinquant’anni in seguito all’aumento della popolazione dai 2,5 miliardi del 1950 agli oltre 7,8 miliardi attuali.
La conseguente crescita demografica e l’innalzamento del tenore di vita hanno triplicato il fabbisogno di cibo a livello mondiale e per farvi fronte, gli agricoltori di tutto il mondo hanno messo a coltura terre soggette ad erosione, troppo aride per essere coltivate, il che fa sì che ogni anno tonnellate di terre spariscano nelle tempeste di sabbia o con le piogge. Con l’aumento dei bisogni agricoli, industriali e domestici, anche la richiesta d’acqua è triplicata, rendendo insufficiente le risorse idriche di molti paesi e provocando un’estrema desertificazione del pianeta.
Secondo i dati dell’osservatorio internazionale “Global Land Outlook” entro il 2025, 1,8 miliardi di persone sperimenteranno una carenza idrica assoluta e due terzi del mondo vivrà in condizioni di stress idrico. Istituita nel 1994, la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD) è l’unico accordo che si pone come obiettivo – della nuova agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile- il recupero della neutralità del suolo degradato.
L’agricoltura intensiva è una guerra chimica
Il successo dell’incremento produttivo dell’agricoltura intensiva è invece principalmente legato all’uso massiccio di sementi selezionate e di concimazione chimica. Con la cosiddetta “rivoluzione verde” (lascito del vecchio dominio coloniale) avviata dalla Rockfeller Foundation ed altri enti privati e pubblici americani è stata messa in atto una profonda trasformazione delle agricolture del Messico, dell’Africa dell’India e di altri paesi “in via di sviluppo” attraverso la creazione di monocolture e la diffusione sperimentale di sementi selezionati, capaci di accrescere la produttività del grano, del granturco e del riso.
Tuttavia, l’uso spropositato di tali tecniche ha causato nei decenni successivi gravi effetti negativi: i concimi chimici, senza l’apporto di letame animale, mineralizzano il terreno e lo riempiono di metalli pesanti, rendendolo sempre meno fertile e privo di vita. Al tempo stesso, i concimi contenenti azoto e fosforo inquinano le falde freatiche compromettendo la qualità dell’acqua utilizzata per l’irrigazione. Quasi come un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire, l’agricoltura intensiva ha dovuto far ricorso, -per aumentare sempre più la produzione- a diserbanti e ad antiparassitari chimici.
Agricoltura intensiva e perdita di biodiversità
Un tempo attorno ai campi agricoli crescevano i boschi che davano asilo a numerose specie di uccelli. Ed erano proprio questi animali a difendere l’integrità dei prodotti agricoli. La rarefazione dei boschi la caccia indiscriminata e lo stesso uso della chimica li ha fatti scomparire. Alberi e piante sono allevati in un ambiente in cui la biodiversità è stata drasticamente ridotta, lasciati a se stessi vengono assaliti da insetti e patologie che ne compromettono gravemente la produttività. Per questo è necessario seguire il loro ciclo produttivo con ripetute disinfestazioni a base di fitofarmaci e pesticidi. Parlando coi numeri, la scomparsa degli habitat naturali ed il degrado del suolo ha ridotto la produttività del 23% della superficie terrestre globale e fino a 557 miliardi di dollari di raccolti globali annui sono a rischio perdita impollinatori.
Agribusiness: semi terminator e zombie
L’uomo ha deciso consciamente di devastare il più grande equilibrio naturale vendendosi al capitalismo sfrenato. L’Agribusiness, ne è oggi una faccia: l’idea di fondo del settore economico è di puntare sempre più nella sperimentazione di nuovi semi ibridi, volti all’ottimizzazione della resa ma soprattutto alla creazione di un legame di estrema dipendenza che costringe il contadino ad acquistare perennemente nuovi semi.
Per sfuggire anche ai contadini più “furbi” che utilizzano i semi brevettati senza pagare i giusti diritti, le multinazionali hanno dato vita ai semi Terminator: dei semi sterili OGM. Ad applicare tra i primi questa tecnologia il colosso Monsanto. Sperimentata chiaramente nei paesi del terzo mondo, ha ridotto letteralmente alla fame i contadini locali. Ad essere anche stati messi sul mercato i semi zombie, ovvero i “riconvertibili fertili”. A differenza della tecnologia terminator, quest’ultima crea piante che potrebbero richiedere un’applicazione chimica per stimolare la fertilità ogni anno. Quindi o paghi per le sostanze chimiche o ti prendi il seme sterile.
Agricoltori ricchi e poveri
L’agricoltura oggi è dunque possibile solo grazie ad una continua guerra chimica: vale a dire tramite un intervento medico costante, che aumenta l’inquinamento ed accresce allo stesso tempo i costi a carico dell’agricoltore, e di conseguenza la dipendenza della produzione di beni agricoli dall’industria e dell’energia non rinnovabile con cui questa è rinnovata. È innegabile che i risultati, in termini di produzione agricola globale, sono stati notevoli.
Tuttavia, la nascita di moderne aziende orientate al mercato liberale ha favorito un’élite ristretta di borghesia nazionale, spingendo all’emarginazione invece la grande massa di contadini poveri. Proprio per tutelare il settore agricolo, sul piano comunitario europeo è stata inaugurata nel 1962, la Politica Agricola Comune (PAC). Ma, piuttosto che contribuire alla lotta, insieme al “Green New Deal“, per il cambiamento climatico, difendere i diritti dei piccoli agricoltori e puntare alla gestione sostenibile delle risorse, ha teso spesso a nascondere la natura distruttiva delle logiche di mercato, affinché l’attuale sistema potesse rimanere sostanzialmente invariato.
Dietro questo “conservatorismo” vi sono le cosiddette lobbies dell’agricoltura intensiva. A fare discutere nell’ultimo periodo è stata Copa-Cogeca, formalmente una rete di organizzazioni di categoria degli agricoltori e di cooperative agricole. Tra i nomi delle cooperative, appaiono però dei veri e propri colossi economici come l’olandese Rabobank, che rappresenta ad oggi una delle più grandi banche di credito agricolo. Il capitale economico tende a ristagnare nelle mani di una vera e propria oligarchia che ha assoluto potere decisionale. Andare contro le lobbies sarebbe un suicidio, ecco quindi spiegato perché la Pac appare spesso conforme agli obiettivi di Copa-Cogeca.
Il mondo merita più tempo
Immersa fra luci ed ombre, l’agricoltura intensiva è soltanto un piccolo tassello del mosaico del nuovo mondo. Tasselli di una Terra Desolata che meritano altro spazio e altro tempo.
Maria Cristina Mazzei
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