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Wada wonderful world. Alex Schwazer, cadute e risalite

5 ' di lettura

Calice di Racines (BZ), 1 gennaio 2016. Sono le 7.30 del mattino, e va bene che non siamo a New York ma è quasi scontato che non ci sia nessuno in giro, figurarsi in una frazione sperduta tra le montagne. Suonano alla porta di casa di Alex Schwazer, è un controllo antidoping a sorpresa. Dennis Jenkel e Fabian Hirtinger, ispettori della Global Quality Service sottopongono l’oro olimpico di Pechino 2008 al test delle urine e la provetta viene subito portata a Stoccarda presso la sede GQS, dove rimarrà incustodito tutta la notte prima di arrivare, il giorno dopo, nel laboratorio accreditato Wada (World Anti-Doping Agency) di Colonia. Il test è negativo.

Il 29 aprile Schwazer finisce di scontare la squalifica di tre anni e nove mesi successiva alla positività all’EPO riscontrata durante l’Olimpiade di Londra 2012 e grazie a Sandro Donati, il suo nuovo allenatore nonché simbolo della lotta al doping in Italia, con cui collabora proprio in ottica del ritorno alle gare, ottiene il lasciapassare dalla Iaaf (la federazione mondiale di atletica) per il suo rientro a livello agonistico. Viene subito iscritto alla 50km di Roma dell’8 maggio, gara valida per il Mondiale e per la qualificazione a Rio 2016. Alex stravince con un tempo di 3h 39’ 00”, dando un chilometro di distanza al secondo classificato.

Può tornare alle Olimpiadi a testa alta. Sempre in aprile però, la Wada aveva disposto un nuovo esame sui campioni di urina prelevati il primo gennaio, che da allora sono stati scongelati e ricongelati tre volte e, nonostante il laboratorio di Colonia riscontri la presenza di “elementi esterni sospetti e di origine sconosciuta”, le analisi vanno avanti e viene riscontrata una presenza di testosterone oltre i limiti del consentito: Schwazer è nuovamente positivo.

Il 12 maggio la Wada comunica il risultato alla Iaaf, che però non avvisa né la Fidal (Federazione Italiana Atletica Leggera) né il Coni; la nuova positività verrà annunciata soltanto trentotto giorni dopo, la sera del 21 giugno, poco più di un mese prima dell’inizio della XXXI Olimpiade.
A diciassette giorni di distanza, l’8 luglio, a Rio 2016 già iniziata, la Iaaf sospende l’altoatesino con effetto immediato.

La difesa si appella subito al Tribunale Nazionale Antidoping contro la decisione della Federazione Mondiale ma il TNA si dichiara non competente. Schwazer e il suo allenatore, Sandro Donati, partono lo stesso per Rio, rinunciando al primo grado di giudizio davanti al Tribunale Federale e provando a fare appello per la revoca della squalifica direttamente alla “sezione olimpica” del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, in quei giorni di stanza a Rio. L’8 agosto in poche ore il Tas tratta il caso e decide che Schwazer, recidivo, merita il massimo della pena, che si traduce in 8 anni, con scadenza nel 2024 quando l’ex Carabiniere avrà quarant’anni e sarà ormai tagliato fuori anche dai giochi olimpici di Parigi.

L’inizio della vicenda

A questo punto della narrazione si rende necessario un salto indietro. Come già accennato prima, il 6 agosto del 2012, a sei giorni dalla fine della XXX Olimpiade, celebrata a Londra, un controllo antidoping sorprende Alex Schwazer positivo all’eritropoietina. L’EPO è un’ormone che favorisce un aumento dei globuli rossi i quali, trasportando ossigeno ai tessuti – specialmente ai muscoli – permettono agli atleti un miglior recupero fisico ed un aumento del livello della prestazione sportiva. Due giorni dopo, in una conferenza stampa ormai divenuta celebre, l’altoatesino ammette tutti gli addebiti, scoppiando a piangere di fronte alle telecamere di centinaia di paesi. Viene sospeso dal servizio e congedato dai Carabinieri.

Confessa tutto anche nel processo che si celebrerà nel 2015, in cui commetterà forse l’errore che gli costerà la carriera: patteggia la pena, accusando però due ex-medici della Fidal, Pierluigi Fiorella e Giuseppe Fischetto di essere a conoscenza della sua assunzione di eritropoietina, imputando di fatto i vertici dell’atletica nazionale di favoreggiamento. Quello stesso giorno accade un fatto che, a riguardare la vicenda adesso, assume dei contorni quantomeno singolari: subito dopo la testimonianza, la Iaaf ordina il controllo a sorpresa, che verrà poi eseguito quindici giorni dopo, nell’ormai famoso Capodanno 2016.

L’intervento della Procura di Bolzano

Il calvario personale e giudiziario dell’atleta però trova una sponda solidale nella Procura di Bolzano, che decide di vederci chiaro e dispone ed ottiene il sequestro dei campioni di urina presenti nel laboratorio di Colonia, incaricando i Ris dei Carabinieri di Parma di prelevare i campioni e riesaminarli. Il colonnello Giampietro Lago si reca allora in Germania ma presso il laboratorio gli consegnano una provetta aperta, che il colonnello rifiuta di prendere.

La collaborazione tra Ris e il laboratorio diventa difficile, con i responsabili tedeschi che accendono i sospetti degli inquirenti italiani. I sospetti vengono confermati dalle analisi dei carabinieri: nelle provette appartenenti a Schwazer ci sono valori non umani di Dna, che la Wada addebita alla positività al testosterone ma che si scontra con alcuni studi che smentiscono il fatto che la sostanza possa aumentare così tanto il Dna nelle urine.

Il Gip di Bolzano Walter Pelino, convinto della manipolazione delle prove, ha così ordinato l’archiviazione del caso Schwazer, assolvendo di fatto il marciatore dinanzi alla giustizia penale. Come si legge nell’ordinanza, il gip ha «accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer l’1-1-2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati». Pelino ha inoltre ritenuto che «sussistano forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati che di seguito si elencano:

a) falso ideologico in relazione alla dichiarazione di disporre di soli 6ml di urina nell’originario campione, essendo acclarato che ve ne erano circa il triplo, 18 ml;

b) frode processuale in relazione alle predette dichiarazioni, alle pressioni esercitate sul laboratorio di Colonia affinché questo si allineasse, come poi ha fatto, alle posizioni di Iaaf nell’opporsi alla rogatoria internazionale per la consegna dei campioni già sequestrati;

c) falso ideologico finalizzato a coprire il precedente falso, consistito in una dichiarazione secondo cui la predetta indicazione sulla quantità (6 ml) sarebbe stata un errore;

d) falso ideologico, frode processuale e diffamazione in relazione alla consulenza redatta, per conto di Wada, dai professori Pascali e Tagliabracci al fine di contestare che la concentrazione di Dna riscontrata nell’urina dell’1-1-2016 fosse da reputarsi anomala».

«Aspettavo questo momento da oltre 4 anni e mezzo. Finalmente è arrivato il giorno in cui è stata fatta giustizia. Finalmente è stato messo nero su bianco che sono innocente. Oggi è la mia vittoria più bella», ha dichiarato Schwazer a Tuttosport.

Certamente non si è fatta attendere la reazione, dura, dell’organismo antidoping mondiale: «La Wada è inorridita per le molteplici accuse sconsiderate e infondate fatte dal giudice contro l’organizzazione ed altre parti coinvolte in questo caso. Prendiamo atto con grave preoccupazione della sentenza e delle motivazioni fornite dal giudice. Una volta che le motivazioni saranno state analizzate, la Wada prenderà in considerazione tutte le opzioni disponibili, comprese azioni legali».

Alex Schwazer

Le prossime mosse

E se si sta aprendo un procedimento penale per appurare quali soggetti di Wada e Iaaf abbiano operato per impedire che la macchinazione ai danni di Schwazer venisse scoperta, che probabilmente farà luce su cosa c’era dietro la squalifica del marciatore, ancora più nebuloso è quel che c’è davanti alla squalifica del campione olimpico. La sentenza penale, infatti, non cancella la decisione sportiva, che lo vede fuori dalle gare fino al 15 agosto 2024. L’avvocato di Alex, Gerhard Brandstaetter ha annunciato di voler riaprire la questione a livello di giustizia sportiva per chiedere la revoca della squalifica, dato che «motivazioni di questa portata di un giudice penale di certo vanno prese in considerazione».

Il percorso però è lungo e tortuoso: il Tas di Losanna che ha condannato Schwazer è già l’ultimo grado di giudizio sportivo. Contro le sue sentenze si può ricorrere presso il Tribunale federale svizzero, come già hanno fatto i legali di Alex nel 2020 vedendosi rigettato il ricorso perché immotivato. Certo, la sentenza del Gip di Bolzano introduce nuovi elementi che non possono affatto essere sminuiti nell’ottica di un eventuale nuovo ricorso. Diventa anche difficile per il TAS trincerarsi dietro l’esaurimento delle possibilità previste dall’ordinamento sportivo e non rivedere le sue posizione alla luce delle rivelazioni della magistratura.

Una strada molto romantica ma ancora al vaglio degli avvocati è quella della richiesta di riabilitazione-grazia presso il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, ipotesi in cui l’atleta italiano avrebbe il pieno appoggio del Coni di Giovanni Malagò, che è sempre rimasto vicino a Schwazer e Donati.

Ultima ipotesi potrebbe essere quella del ricorso alla CEDU, la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, in cui ci si dovrebbe appellare al diritto dell’imputato a ricevere un «giusto processo» ma si tratterebbe anche di dimostrare che gli elementi emersi dall’inchiesta di Bolzano fossero già noti e colposamente o dolosamente ignorati durante la discussione del TAS avvenuta a Rio.

Di certo i prossimi mesi sapranno dirci di più ma è chiaro che – arrivati a questo punto – Schwazer meriti un risarcimento, umano e sportivo. Merita di essere riabilitato da un’opinione pubblica e da un giornalismo sportivo pronti a voltargli le spalle, così come merita un’altra occasione anche a livello atletico. Alex è determinato: «Voglio finire la carriera a modo mio e non come invece vorrebbe qualcun altro». Ci riuscirà?

Mario Mucedola

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