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MeriTonale. Musiche a Sud #1 Pino Daniele – Nero a metà (1980)

2 ' di lettura

Si apre con oggi una nuova rubrica su “Salgoalsud”. Andremo a ricercare dischi e artisti, (alcuni conosciuti, altri meno) nati sotto il 42° parallelo che nel corso degli anni si sono imposti sulla scena musicale italiana. Non si poteva non iniziare con un artista maiuscolo, un personaggio unico: Pino Daniele. Nato nel 1955, ha un precoce interesse per la musica, che lo porta, a soli vent’anni, a diventare già turnista in diverse band napoletane.

Erano anni di grande fermento nella scena musicale partenopea, si stava imponendo il cosiddetto neapolitan power, un genere musicale che coniugava la tradizione melodica alle asperità del blues e degli altri generi neri come il jazz e il funky. Pino finisce per diventare il bassista della formazione che più di tutte ha incarnato questo über-genere, i Napoli Centrale.

Qui conosce musicisti di primo livello e stringe un amicizia fraterna con James Senese, sassofonista e volto principale del movimento. Dopo un paio di album in cui il giovane Daniele inizia a prendere una strada che ancora non si discosta troppo dalla tradizione, il 1980 è l’anno di Nero a metà.

Il titolo è un omaggio a Mario Musella, musicista figlio della guerra, di madre napoletana e padre soldato americano, scomparso a pochi mesi dalla pubblicazione del disco. E proprio dalla contaminazione tra mondi lontani questo disco esprime sé stesso: il risultato è un latin blues, melodicamente ancorato alla tradizione napoletana ma dai suoi freschi e decisamente mondiali. Si passa dal funk di Musica Musica, dichiarazione d’amore per l’arte bagnata dal sax acido di James Senese al rock-blues aggressivo di Puozze passà nu guaio, in cui la chitarra di Pino buca il vinile. Ma c’è spazio anche per la rumba di Appocundria, brano particolare per la sua durata, neanche un minuto e quaranta ma dall’intensità travolgente.

Ecco, il concetto di appocundria è uno dei più difficili da spiegare e paradossalmente è uno dei più vicini alla metonimia del blues: è uno stato d’animo non solo di profonda malinconia, ma anche di rassegnata passività sulle sorti della vita, in un termine così ricco di sfaccettature che nel 2015 si è meritato l’inserimento nell’enciclopedia Treccani.

Andando avanti nel disco ritroviamo il funk nella traccia in cui meno lo si aspetterebbe: A me me piace ‘o blues è un brano irresistibile e storico ma che di blues, perdonatemi, ha davvero poco o niente. Diversamente da Nun me scuccià, classico 12-bar blues che nell’armonia dell’album, di un disco così innovativo, sembra quasi un brano retrogrado. Nei dodici brani di Nero a metà troviamo ancora molto molto altro, c’è A testa in giù, dalla smaccata propensione fusion, ovvero la tendenza ad unire più generi, tutti fondamentalmente black e la conclusiva Sotto ‘o sole, che strizza l’occhio alla bossa nova e ai sound più tipicamente latini.

Ma non bisogna certo dimenticare brani come I say I sto ‘cca che apre questi quaranta minuti di musica con un’armonica che ci guida attraverso le pieghe del brano e Quanno chiove, brano che diventerà lo standard di Pino Daniele. E pensare che nella prima versione dell’album nemmeno c’era. I discografici chiesero alla band di scrivere un altro pezzo, per pareggiare il lato A e il lato B inserendovi sei pezzi ciascuno. In pochi minuti Pino imbracciò la chitarra e compose questo brano diventerà immortale.

pino daniele

Per Nero a metà, Pino Daniele si avvalse di una superband, composta da musicisti di prim’ordine tutti rigorosamente appartenenti alla scena napoletana: oltre al già citato James Senese al sassofono, abbiamo Gigi De Rienzo al basso, Agostino Marangolo alla batteria, Ernesto Vitolo alle tastiere e persino l’apparizione di Enzo Avitabile ai cori in A me me piace ‘o blues. L’album segnerà la svolta nella carriera di Pino Daniele, che sarà decretata anche da un ottimo successo commerciale, nel solo 1980 infatti l’album vendette 300.000 copie.

Un disco importante dunque, per l’artista, per una città, per un movimento. Un disco che è diventato tradizione rompendo la tradizione stessa, ed è questa la capacità dei grandi Artisti.

Mario Mucedola

One Comment

  1. Silvias Silvias 6 Febbraio, 2021

    Bellissima rubrica e bravone Mario. Daje

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