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Università: purché se ne parli

3 ' di lettura

Circondati da un clima di incertezza e cambiamenti quantomai repentini, i cittadini italiani si trovano, giornalmente, a dover fare i conti con nuove e sempre più confuse regole da seguire.

Da marzo 2020 sono stati varati otto Decreti Legge e dieci DPCM, per non parlare delle ordinanze straordinarie inserite tra un decreto e l’altro. Un’infinita quantità di normative, spesso le une opposte alle altre, che hanno avuto, però, in tutti questi mesi, una grande costante.

O forse, una grande assente.

Sì, ma l’università?

Le aule dei grandi atenei italiani sono vuote da quasi un anno. Tra lauree in pantofole, esami in pigiama e tirocini online, gli studenti universitari dell’intero stivale si sentono inevitabilmente abbandonati.

Ignorato nelle consuete conferenze stampa a reti unificate del Presidente e, inevitabilmente, poco considerato dall’opinione pubblica, l’avvenire della futura classe dirigente del Paese appare, giorno dopo giorno, sempre più incerto e fumoso.

Perfino il ministro dell’università e della ricerca, Gaetano Manfredi, sembra essersi dimenticato del suo ruolo istituzionale. Fatta eccezione per qualche sporadica dichiarazione e un’eccessiva discrezionalità lasciata ai singoli atenei, mai nessuna voce corale si è sentita urlare solenne in favore dei giovani dell’era Covid. Una delle ultime marginali menzioni risale al 24 ottobre, quando uno degli atti del Governo, deresponsabilizzandosi totalmente, esordisce così:

università

 “Le università predispongono, in base all’andamento del quadro epidemiologico, piani di organizzazione della didattica e delle attività curriculari in presenza e a distanza in funzione delle esigenze formative e tenendo conto dell’evoluzione del quadro pandemico territoriale e delle corrispondenti esigenze di sicurezza sanitaria”. 

Nulla cambia, infatti, leggendo il nuovo DPCM, che alla lettera u) del comma 10, articolo 1, stabilisce che le lezioni possano riprendere anche in presenza, qualora, però, l’evoluzione del quadro pandemico lo permetta e sempre sotto la responsabilità decisionale del Comitato Universitario Regionale.

Completamente in autonomia, dunque, ai singoli Atenei viene addossato l’onere di far fronte alle crisi che la pandemia ha causato in  ben dieci mesi. Autonomi sì, ma sprovvisti di aiuti, di implementi tecnologici e logistici. Un’arma a doppio taglio che ha obbligato quasi tutti i rettori a un immobilismo deleterio per gli studenti.

Nessun hashtag, come quello dello scorso 15 gennaio, che al grido di #ioapro, ha visto la protesta dei ristoratori, e nessuna occupazione pacifica come quelle che si sono susseguite nel corso delle ultime settimane fuori dai licei.

Niente che sia stato ritenuto degno neppure di una brevissima striscia in un giornale locale.

Eppure, giustamente, numerose sono state le attenzioni rivolte alla riapertura di scuole primarie e secondarie, che, seppur non effettivamente sufficienti per il raggiungimento di un’apertura condivisa a carattere nazionale, sono state importanti per riportare all’attenzione, soprattutto mediatica, a uno dei profondi problemi che preoccupano le nuove generazioni.

Ma se l’istruzione e l’educazione dei giovanissimi è ritenuta fondamentale, perché non è altrettanto considerata quella di cittadini maggiorenni, che responsabilmente e a proprie spese, hanno compiuto una scelta di vita che oggi, quantomai prima, dovrebbe essere tutelata dallo Stato?

In un’epoca in cui parlare di futuro pareva impossibile già prima di una pandemia mondiale, non è forse fondamentale, invece, spronare sia i Neet, sia coloro che invece si impegnano in una qualsiasi ricerca a credere nel proprio Paese e nelle opportunità che esso può -e deve- dare?

E infine, il diritto allo studio non è forse un diritto che spetta a chiunque voglia esercitarne i principi?

Gli ultimi, questa volta, non saranno i primi

Davanti a quello che pare, sotto tutti i fronti è stato un anno sprecato. Vari istituti di ricerca, tra cui l’Istat e un’indagine svolta da Ipsos e Save The Children, i numeri non fanno che confermare quanto già facilmente ipotizzabile.

A inizio anno è stato stimato un calo di diecimila matricole. Gli studenti si sentono isolati e hanno peggiorato, nettamente, la loro capacità di socializzazione, lo affermano in 6 su 10.

La DAD, indistintamente, dalle elementari all’università è bocciata dal 38% degli studenti. Infiniti sono stati i problemi legati alla velocità delle connessioni WiFi e altrettanto complicato è stato ottenere un dispositivo elettronico, quale pc o tablet che fosse proprio e non in condivisione col resto della famiglia, ugualmente bloccata in casa, tra telelavoro e altre lezioni.

Tutto ciò poiché, esattamente com’è accaduto in ambito sanitario e con le Asl, le università sono istituti autonomi e non direttamente legati al Governo centrale, se non per le dotazioni annue di fondi. Ma si sa, istruzione e sanità sono spesso vittima di tagli, quasi come fossero gli ambiti più sacrificabili dell’intera società.

Ma se la pandemia ci ha ammoniti e ha insegnato quanto un ambiente sanitario efficiente e pronto sia fondamentale, non pare che per l’università possa accadere lo stesso.

Vediamo infatti, come la maggior parte dei più giovani disconosce quasi totalmente il piano Next Generation Ue (il più conosciuto Recovery Fund), ignorando perfino la quantità di fondi destinata all’istruzione superiore universitaria.

Saranno stanziati decine di miliardi che, ad oggi, andranno nelle stesse mani di chi, fino ad adesso, non è parso capace di gestire in alcun modo la situazione. Nascondendosi dietro la maturità di coloro che frequentano questi istituti ci si è affidati alla loro capacità di apprendere nonostante le innumerevoli mutilazioni che hanno subito.

Quasi due milioni di italiani si trova, adesso, nella posizione di dover decidere del proprio futuro, senza averne i mezzi per farlo. Due milioni di invisibili senza prospettive chiare o minimamente rassicuranti. Eppure, non sembra essere così inattuabile un processo di implementazione, innanzitutto, tecnologico e, subito conseguente, di messa in sicurezza dei locali predisposti per le lezioni.

Ma, dopotutto, in ogni storia degna di essere raccontata ci sono sempre figli e “figliastri”. A noi universitari, stavolta, è andata proprio male.

Cristina Conversano

One Comment

  1. Teresa Teresa 21 Gennaio, 2021

    #figlidinessuno

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