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“Fatela sbagliare, così la licenzio”. Quando fare sesso ti costa il lavoro

2 ' di lettura

C’era una volta il supporto femminile, o forse non c’è stato mai, sicuramente è assente nella storia della maestra di Torino. Questa notizia ha fatto il giro del web e insieme, lo hanno fatto anche le  foto “hot” della ragazza, condivise senza consenso da un ex fidanzato online. Ma allora vi starete chiedendo perché parlo proprio di donne se l’artefice del gesto è stato un uomo?

Perché a puntare il dito spesso siamo proprio noi. Parlo proprio di donne perché le prime ad aver minacciato la maestra di Torino sono state le mamme dei bambini a cui lei insegnava. Le stesse madri che poi si sono recate dalla preside dell’istituto per metterla al corrente di questo episodio. La ciliegina sulla torta è che purtroppo questa catena di assurdità non si è fermata alla segnalazione, ma si è conclusa con il licenziamento stesso della ragazza, che oltre essere stata vittima di un gesto di violenza (ed essere diventata protagonista di una vera e propria gogna mediatica) si è ritrovata infine anche senza lavoro.

Il motivo del licenziamento?

Il motivo a detta della direzione è la messa in discussione dell’idoneità all’insegnamento della maestra. Secondo la ricostruzione dell’accusa, la preside avrebbe infatti costretto la giovane insegnante a rassegnare le dimissioni. Dopo una riunione, in cui era presente tutto il resto del personale, la direttrice avrebbe evidenziato il timore che i genitori ritirassero i propri bambini dall’asilo in seguito alla scoperta delle foto.

La ragazza ha raccontato che: “quel giorno la direttrice mi apostrofò con frasi irripetibili e mi disse che era meglio che me ne andassi spontaneamente, altrimenti avrebbe dovuto scrivere una lettera di licenziamento con riportato il motivo. Aggiunse che così non avrei più trovato lavoro, che non mi avrebbero assunta neanche per pulire i cessi della stazione. Che su di me ci sarebbe stato un marchio indelebile”. A peggiorare il tutto anche il ritrovamento di alcuni audio Whatsapp della preside dove a parole chiare chiedeva alle altre maestre di indurre la ventiduenne a sbagliare perché “ogni pretesto è buono per mandarla via”. 

Praticamente l’inquisizione. Peccato che per quanto sia raccapricciante e anacronistico questo racconto, la ragazza al centro di questa vicenda, ad oggi, vive davvero con una lettera scarlatta permanente addosso e non riesce più a trovare lavoro da due anni; proprio da quel giorno in cui è stata costretta a licenziarsi.

maestre

Fortunatamente in questo racconto amaro, qualche segnale positivo e di sostegno c’é stato. Selvaggia Lucarelli ha recentemente comunicato attraverso i suoi social che un noto stilista, che in questo caso ha preferito l’anonimato, si sarebbe reso disponibile per pagare tutte le spese legali a cui andrà incontro la ragazza. Ad aggiungersi alla nutrita schiera di sostenitori e sostenitrici di questa causa anche l’artista Andrea Villa, conosciuto in italia come il “Bansky torinese” attraverso il progetto #Teachersdosex.

Si tratta di tre selfie scattati da altrettante maestre elementari, nude (ovviamente consenzienti e tutelate dall’anonimato) affissi davanti alcune scuole della città. L’artista avrebbe contattato alcune insegnanti chiedendo di inviargli dei selfie senza veli, così come avrebbero fatto in una chat con il proprio compagn*. Poi li ha stampati e affissi per strada come se questi fossero dei cartelloni – una campagna forte ma d’impatto che spiega il cortocircuito che si nasconde dietro il revenge porn. 

Corpi spogliati esposti al pubblico, esattamente come accade quando la propria intimità viene violata in rete attraverso la condivisione di materiale confidenziale. Ci si ritrova nud* davanti agli occhi di tutti e il privato diventa in un istante pubblico. Ulteriore importante riflessione è quella dedicata al ruolo delle maestre e alla loro sessualità: l’artista ci mostra con schiettezza come scandalizzi il corpo nudo se associato a una determinata professione.

Siamo infatti abituati alla nudità, soprattutto quella femminile, ma vige ancora l’ipocrisia che certe categorie non possano avere una sessualità, figuriamoci mostrarsi senza veli. Le maestre vengono sempre de-sessualizzate come individui, le si vuole immaginare come donne angelo, senza libidine e senza peccato. Ma qui, il peccato è ben altro.

Francesca Confalonieri

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