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I Santi sono folli

3 ' di lettura

Storia dei santi folli

Se una vita da santo è un cerchio chiuso di virtù e sequela eroica di Cristo, può mai un matto essere elevato all’onore dell’altare? A Bisanzio, tra gli ascetici della chiesa ortodossa, la via della santità ha volti insoliti. Sono i Santi Folli con i loro lineamenti psicologici oscillanti fra natura patologica ed ideologica, i testimoni di una sapienza ai più nascosta: percepiti dalla società come deviati, scelsero un percorso alternativo per giungere a Dio, fatto di luride umiliazioni. Testimoniano oggi la necessità della resurrezione dell’irrazionale nel mondo postmoderno, capace di contrastare quell’animalità bruta distruttrice dell’autentico umanesimo.

Dove nascono i Santi Folli?

Conosciuti anche col nome di Stolti in Cristo o Folli in Cristo, li ritroviamo  -nell’Egitto del IV secolo-  accanto ai primi asceti del deserto.  I folli erano molto simili alle figure dei profeti danzanti descritti all’interno dell’antico testamento. Comportamento bizzarro, talvolta aggressivi e capaci di prevedere il futuro. La figura del Santo Idiota, dal VI secolo in poi sarà protagonista dell’impero Bizantino. Intorno al 380, nel clima della promulgazione dell’editto Teodosiano molti monaci furono perseguitati e si videro costretti a scegliere la solitudine rispetto al terrore dittatoriale della città. L’unica possibilità offerta ai monaci, per non fuggire dal mondo, era quella di camuffare la loro vera identità, velando la loro essenza di follia.

santi folli

Il matto tra sacro e profano

Nato, dunque, per necessità, questo stile di vita era caratterizzato apparentemente da instabilità ed illogicità, ma nascondeva la vera saggezza della sapienza. Al di là della storia romanzata che vuole i folli come gli unici possessori della verità divina, le radici nelle quali versa la divina follia per Cristo sono molto antiche e si concretizzano nel clima dell’instabilità sociale. I santi folli infatti, svolgevano un vero e proprio ruolo sociale, curavano i mali dell’uomo fungendo da una sorta di medico stregone con poteri soprannaturali. Figure paradossali, sospese tra due dimensioni, sub-umana e sovra-umana, tra trascendenza e bestialità, tra sacro e profano, proposero un modello cristiano sorprendente, per quanto scandaloso: rinunciavano alla classica predicazione e invitavano ad una riflessione spirituale attraverso l’esempio personale. Per gli uomini comuni, anche analfabeti, era più semplice riconoscere un comportamento amorale, basandosi solo sul linguaggio del corpo e sull’immagine che un uomo offre di sé alla società.

L’Agiografia di Santa Isidora

In Historia Lausiaca di Palladio, tra le più antiche fonti scritte che attestano lo stile di vita, si narra la storia di Isidora, una donna dionisicamente impazzita vissuta nel monastero di Tabbennisi. Isidora aveva nel monastero il compito di lavorare in cucina e di pulire i pavimenti, servizio che eseguirà diligentemente finché non decise, dopo essersi coperta di stracci, di non cucinare più per le consorelle e di nutrirsi solo con l’acqua sporca ottenuta con il risciacquo delle stoviglie. A causa delle sue azioni le compagne presero a disprezzarla. Alla fine del racconto, sarà invece rivelato che dietro quella maschera da barbona mentecatta si celava invece la più Santa delle sante.

SANTA ISIDORA DI TABENNA

Per i folli l’essere pazzo, bizzarro e l’infliggere male a se stesso, aveva una funzione catartica mediante la quale l’anima si eleva in preda alla leggera follia. Il vero Santo Folle non nutriva piacere nel farsi riconoscere, la sua figura doveva operare nell’ombra. Egli infatti possedeva una realtà dei valori capovolta: sta accumulando meriti per il paradiso e non permette che altri lo facciano scivolare giù dalla scala della perfezione su cui si sta arrampicando. Decide così di partecipare all’aspetto più doloroso di Cristo, quello del rifiuto e del maltrattamento gratuito, quello dell’innocenza colpita ingiustamente. I monaci folli abbandonavano dunque la vita solitaria vissuta nell’eremo per exire de mundo, per predicare nelle piazze delle città, e utilizzando la maschera della stoltezza furono capaci di proclamare discorsi profetici, rendersi protagonisti di eccessi, scandali, frequentare bordelli, ubriacarsi, vagare nudi, dormire con i cani. Era questo il loro eremitaggio.

La saggia follia

Il folle era un attore che recitava il suo disprezzo per il mondo, e che si vestiva di pazzia per condannare la mediocrità ipocrita della morale dominante. Una sorta di fumetto caricaturale che satiricamente rappresenta le ambiguità degli uomini di fede “che predicano bene razzolano male”, di chi alla luce del giorno veste i panni di un cristiano puritano e alla sera, quasi come posseduto, si concede alla blasfemia più becera. Così i santi folli -invertendo il giorno con la notte- si fanno trasgressori di quella norma etica e morale imposta alla massa, concedendosi piena libertà di esprimersi. Una riflessione quella dei santi orientali che invita ancora oggi a non puntare il dito e a non scandalizzarsi. Perché in fondo “tutti siamo macchiati d’una pece”.

Maria Cristina Mazzei

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