Gli emoji sono ormai parte della nostra comunicazione quotidiana. Tutti ne usiamo e molto spesso ne abusiamo, popolando le nostre chat di faccine che piangono dal ridere, bicipiti in trazione, bicchieri che tintinnano e cuori colorati. Una sorta di dipendenza ci spinge ogni volta ad inserirli per descrivere al meglio le nostre azioni ed emozioni. Il 17 luglio di ogni anno dal 2014 a questa parte, una Giornata mondiale li celebra mettendone in risalto le loro qualità e le loro potenzialità linguistiche. Per l’occasione abbiamo fatto due chiacchiere con Francesca Chiusaroli, docente di linguistica all’Università di Macerata e autrice del progetto emojitaliano, progetto di creazione di una lingua artificiale a base emoji che nel 2017 si concretizza in Pinocchio in Emojitaliano, dando una veste nuova ed attuale alla famosa opera collodiana.
Partiamo dal principio, cos’è un emoji e quali sono le sue caratteristiche linguistiche?
Possiamo definire l’emoji come “un pittogramma che riproduce una faccina o un referente del reale. Nascono in Giappone e non sono da confondere con gli emoticon, le faccine realizzate con i segni di tastiera per intenderci : – ) , che nel 1982 hanno origine negli Stati Uniti in ambito aziendale, inventate da Scott Fahlman. L’inventore degli emoji è invece Shigetaka Kurita, un operatore di una compagnia telefonica nipponica, che alla fine degli anni ’90 disegna una serie di veri e propri pittogrammi di ispirazione manga e anime per arricchire la comunicazione digitale con immagini a complemento del testo. A un certo punto arriva la Apple che acquisisce gli emoji e li trasferisce negli Stati Uniti dove, per un processo di ampliamento e di necessità di dialogo tra i diversi sistemi operativi, si inserisce il consorzio Unicode che munisce gli emoji di un codice ASCII, standardizzandoli. A questo punto le diverse case produttrici di dispositivi possono aggiungerli nelle loro tastiere che più o meno ogni sei mesi si ampliano con nuovi emoji per rispondere alle istanze sociali più varie.
Questo è molto interessante. Ad esempio all’inizio c’era la ballerina e c’era il medico e questa venne giudicata come una scelta sessista. Ora abbiamo la ballerina il ballerino, il medico e la dottoressa. Tutto è stato prima duplicato poi triplicato con l’aggiunta del terzo genere neutro. Così è avvenuto anche con le etnie, le famiglie, i cibi, così come stata ampliata la gamma delle faccine che, partendo dallo stereotipo sorriso, riproducono ora tantissimi umori. Emojipedia, la wikipedia degli emoji, fondata nel 2013 da Jeremy Burge contiene la storia di ogni emoji e del suo sviluppo, da quando è stato disegnato a quando è stato inserito nella tastiera.”Il processo di adattamento alle esigenze sociali che riguarda continuamente gli emoji, prosegue Francesca:
“Ripercorre ciò che è successo con la storia delle scritture. La scrittura nasce pittografica, ma ad un certo punto si è presentata l’esigenza di passare oltre, all’alfabeto. Questo perché il pittogramma non è mai sufficiente per rappresentare la realtà. Il repertorio diventa infinito e ad un certo punto scoppia. Non possiamo sapere se anche il sistema emoji un giorno scoppierà. Se da una parte infatti ne abbiamo già tantissimi, dall’altra tendiamo ad usare sempre gli stessi e nella maggioranza dei casi non siamo neanche a conoscenza di tutti gli emoji a disposizione.”Come nasce l’idea di emojitaliano e di cosa si tratta?
“Le principali traduzioni in emoji già esistenti come Emoji Dick o Alice nel paese delle meraviglie sono state fatte rispettivamente da un informatico e un designer, nessuna delle due da un linguista. Per questo esse presentano una scarsa attenzione per la lingua che le rende illeggibili, con una traduzione totalmente libera. Emojitaliano nasce proprio dal vedere queste esperienze di traduzione prive dell’elemento linguistico. Importante è la presenza di un elemento riproducibile che funga da appiglio per il lettore che in qualsiasi lingua può affrontare il testo e trovare il senso linguistico basandosi su una grammatica e un glossario. La grammatica di emojitaliano prevede che ci sia una struttura fissa all’attivo, soggetto verbo oggetto, quindi in fase di traduzione le frasi passive saranno trasformate all’attivo: “la porta fu chiusa da Geppetto” diventerà “Geppetto chiuse la porta”. L’elemento verbale è reso riconoscibile dalla presenza dell’apostrofo, quindi ad esempio se trovo l’emoji della scarpa preceduta da un apostrofo so che si tratta del verbo camminare, che alla sua sinistra troverò il soggetto e alla sua destra il complemento oggetto. Il testo diventa con queste coordinate leggibile da chiunque, anche da una persona di una lingua straniera.È un progetto nato nel 2016, con la collaborazione di Johanna Monti che si occupa di traduzione automatica all’Università di Napoli L’Orientale e di Federico Sangati, un informatico che ha realizzato i bot. Prende le mosse dalla comunità di Scritture brevi su Twitter, grazie a una decina di traduttori che gratuitamente per nove mesi hanno tradotto ogni giorno una frase. Il primo giorno tutti traducevano in modo diverso e alla fine della giornata veniva scelta la traduzione migliore. La frase scelta diventava un riferimento da seguire per la frase del giorno successivo, nel caso fossero stati presenti gli stessi termini. Così sono nati il lessico e le regole grammaticali, come quella dell’aggettivo dopo il sostantivo, “la bella casa” diventava “la casa bella”.