“Pesticidi ovunque”: allerta per il prodotto amatissimo, pericolo anche per i bambini
Un’indagine rivela livelli allarmanti di glifosato con rischi per la salute dei bambini e richieste di norme più severe in Europa

Una nuova indagine internazionale ha acceso un faro sui livelli di glifosato presenti in alcuni tra i prodotti più diffusi nei supermercati europei e statunitensi, sollevando preoccupazioni significative per la salute pubblica.
Questo erbicida, ampiamente utilizzato in agricoltura, continua a essere al centro di un acceso dibattito scientifico e regolatorio, soprattutto per i rischi potenziali legati all’esposizione soprattutto nei bambini, che rappresentano la fascia più vulnerabile.
I risultati dell’indagine internazionale
L’associazione Moms Across America, gruppo di genitori attivo nella promozione della sicurezza alimentare, ha recentemente pubblicato un rapporto che evidenzia livelli preoccupanti di glifosato in numerosi prodotti destinati ai bambini, testati in Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania. Negli USA, il 90% dei cereali analizzati contiene tracce di questa sostanza chimica, mentre in Europa sono stati rilevati valori ancora più elevati in alcuni marchi popolari.

In particolare, la farina d’avena Quaker Oatmeal Sweet Cinnamon nel Regno Unito ha registrato 513 ppb di glifosato, superando di oltre 5.000 volte la soglia considerata dannosa per gli organi. In Francia, i Nestlé Cookie Crisp hanno raggiunto livelli di 732 ppb, sette volte superiori ai limiti legali e oltre 7.000 volte superiori alla soglia critica per danni ormonali e organici. Anche in Germania sono stati riscontrati residui significativi, benché meno elevati rispetto agli altri paesi.
Zen Honeycutt, direttrice di Moms Across America, ha commentato: «Speravamo che i prodotti europei fossero più sicuri, vista la maggiore regolamentazione, ma i risultati dimostrano il contrario. È urgente un confronto internazionale per vietare l’uso del glifosato come essiccante e erbicida».
Il glifosato è un erbicida sistemico, introdotto negli anni Settanta e oggi il più utilizzato al mondo. Agisce bloccando un enzima essenziale per la sintesi di amminoacidi nelle piante, ma la sua presenza negli alimenti suscita crescenti timori. L’esposizione, anche a basse dosi, è stata associata a malattie epatiche, disturbi endocrini, difetti congeniti e varie forme di tumore, in particolare linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti professionalmente.
I bambini sono particolarmente a rischio perché consumano quantità di cereali proporzionalmente più elevate rispetto al peso corporeo, aumentando così l’esposizione cumulativa e gli effetti nocivi a lungo termine. Inoltre, il glifosato favorisce la proliferazione del fungo Fusarium, che produce micotossine pericolose per fegato, reni e sviluppo immunitario.
Dal punto di vista scientifico, la classificazione del glifosato resta controversa. Nel 2015 l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha inserito il glifosato nella categoria 2A, definendolo come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”, basandosi su prove limitate di carcinogenicità negli esseri umani ma sufficienti evidenze negli animali. La stessa categoria include sostanze comuni come il DDT e le carni rosse.
Tuttavia, altre autorità come l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) hanno valutato il rischio come “improbabile” per la cancerogenicità nell’uomo, pur sottolineando la necessità di un monitoraggio rigoroso e limiti più stringenti sui residui negli alimenti. L’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) ha escluso la classificazione del glifosato come cancerogeno o genotossico e ha confermato l’assenza di effetti disgregativi sul sistema endocrino.
Negli ultimi anni l’EFSA ha inoltre aggiornato i livelli massimi di residui (LMR) di glifosato nei prodotti alimentari, adottando misure più restrittive per garantire la protezione dei consumatori più sensibili, in particolare i bambini.