Da una stanza fredda che pago troppo per quanto è piccola. Da un frigo vuoto a metà mese. Da un treno preso all’alba e da un dialetto che qui non parla nessuno.
Sono partito perché mi hanno detto che il futuro era altrove. Perché al Sud si ama, ma non si lavora. Perché “chi vuole fare strada deve salire”. E allora sono salito, con uno zaino, una borsa di viveri preparata da mia madre, e la voce tremante di mio padre che ha detto solo: “fai quello che è giusto per te.”
Al Nord non sono nessuno.
Uno dei tanti fuorisede. Uno studente con l’accento marcato, lo sguardo stanco e il conto che scende più veloce delle speranze.
Faccio lezione la mattina, consegno pizze la sera, studio di notte. E ogni tanto piango, ma senza far rumore.
Quando dico che vengo dal Sud, mi rispondono con un sorriso pieno di cliché.
“Beato te, avete il mare.”
Già, il mare. Quello che ora vedo solo in foto. Quello che al Nord diventa una nostalgia che brucia più del freddo.
Ma per fortuna non sono davvero solo.
Al Nord ci siamo in tanti. Siamo una folla silenziosa di studenti e lavoratori con le radici piantate lontano. Ti capita di incontrare un ragazzo di Lecce al bancone del bar dove lavori, una ragazza di Potenza che frequenta il tuo stesso corso, uno di Taranto con cui dividi la fila per la mensa. E all’improvviso ti accorgi che parlate la stessa lingua, anche senza bisogno di dialetto.
In quelle amicizie c’è una complicità istintiva, fatta di piccoli riti: cucinare insieme “come a casa”, aiutarsi con gli appunti, ridere delle stesse battute che qui nessuno capisce.
Quando incontri un altro del Sud, il Nord fa meno paura.
Qui ho imparato a fare a meno. A rinunciare, a resistere, a costruire un sogno con l’ansia che mi divora lo stomaco.
Ogni euro speso pesa, ogni traguardo è una maratona. Ma non mollo.
Non mollo perché il Sud me lo porto dentro.
Nei piatti che cerco di cucinare come faceva mia nonna.
Nel profumo del basilico sul balcone.
Nel modo in cui saluto, sempre con un “ciao bello”, anche se qui nessuno lo dice.
Un giorno, forse, ce la farò. A lavorare. A realizzarmi.
Ma la mia vittoria non sarà restare qui. Sarà avere la forza di tornare, un giorno, e fare in modo che nessun altro sia costretto a partire per sopravvivere.
Ti scrivo dal Nord, ma penso al Sud.
A un Sud che non voglio lasciare solo nei ricordi.
A un Sud che sogna con me, mentre cammino con le scarpe bucate e il cuore pieno.
E se un giorno mi vedrete tornare con un bagaglio pieno di fatiche, non chiedetemi “com’è andata”, ma solo:
“Ce l’hai fatta, sì o no?”
E io risponderò:
“Ce l’abbiamo fatta. Perché io non sono mai partito da solo.”