Partiamo dal principio, cos’è un emoji e quali sono le sue caratteristiche linguistiche?

Possiamo definire l’emoji come “un pittogramma che riproduce una faccina o un referente del reale. Nascono in Giappone e non sono da confondere con gli emoticon, le faccine realizzate con i segni di tastiera per intenderci : – ) , che nel 1982 hanno origine negli Stati Uniti in ambito aziendale, inventate da Scott Fahlman. L’inventore degli emoji è invece Shigetaka Kurita, un operatore di una compagnia telefonica nipponica, che alla fine degli anni ’90 disegna una serie di veri e propri pittogrammi di ispirazione manga e anime per arricchire la comunicazione digitale con immagini a complemento del testo. A un certo punto arriva la Apple che acquisisce gli emoji e li trasferisce negli Stati Uniti dove, per un processo di ampliamento e di necessità di dialogo tra i diversi sistemi operativi, si inserisce il consorzio Unicode che munisce gli emoji di un codice ASCII, standardizzandoli. A questo punto le diverse case produttrici di dispositivi possono aggiungerli nelle loro tastiere che più o meno ogni sei mesi si ampliano con nuovi emoji per rispondere alle istanze sociali più varie.

Questo è molto interessante. Ad esempio all’inizio c’era la ballerina e c’era il medico e questa venne giudicata come una scelta sessista. Ora abbiamo la ballerina il ballerino, il medico e la dottoressa. Tutto è stato prima duplicato poi triplicato con l’aggiunta del terzo genere neutro. Così è avvenuto anche con le etnie, le famiglie, i cibi, così come stata ampliata la gamma delle faccine che, partendo dallo stereotipo sorriso, riproducono ora tantissimi umori. Emojipedia, la wikipedia degli emoji, fondata nel 2013 da Jeremy Burge contiene la storia di ogni emoji e del suo sviluppo, da quando è stato disegnato a quando è stato inserito nella tastiera.”

Il processo di adattamento alle esigenze sociali che riguarda continuamente gli emoji, prosegue Francesca:

“Ripercorre ciò che è successo con la storia delle scritture. La scrittura nasce pittografica, ma ad un certo punto si è presentata l’esigenza di passare oltre, all’alfabeto. Questo perché il pittogramma non è mai sufficiente per rappresentare la realtà. Il repertorio diventa infinito e ad un certo punto scoppia. Non possiamo sapere se anche il sistema emoji un giorno scoppierà. Se da una parte infatti ne abbiamo già tantissimi, dall’altra tendiamo ad usare sempre gli stessi e nella maggioranza dei casi non siamo neanche a conoscenza di tutti gli emoji a disposizione.”

Come nasce l’idea di emojitaliano e di cosa si tratta?

“Le principali traduzioni in emoji già esistenti come Emoji Dick o Alice nel paese delle meraviglie sono state fatte rispettivamente da un informatico e un designer, nessuna delle due da un linguista. Per questo esse presentano una scarsa attenzione per la lingua che le rende illeggibili, con una traduzione totalmente libera. Emojitaliano nasce proprio dal vedere queste esperienze di traduzione prive dell’elemento linguistico. Importante è la presenza di un elemento riproducibile che funga da appiglio per il lettore che in qualsiasi lingua può affrontare il testo e trovare il senso linguistico basandosi su una grammatica e un glossario. La grammatica di emojitaliano prevede che ci sia una struttura fissa all’attivo, soggetto verbo oggetto, quindi in fase di traduzione le frasi passive saranno trasformate all’attivo: “la porta fu chiusa da Geppetto” diventerà “Geppetto chiuse la porta”. L’elemento verbale è reso riconoscibile dalla presenza dell’apostrofo, quindi ad esempio se trovo l’emoji della scarpa preceduta da un apostrofo so che si tratta del verbo camminare, che alla sua sinistra troverò il soggetto e alla sua destra il complemento oggetto. Il testo diventa con queste coordinate leggibile da chiunque, anche da una persona di una lingua straniera.