La notte in cui fummo invasi dagli alieni

Pubblicato il 22 maggio 2021 — Tempo di lettura: 3 minuti
La sera del 30 ottobre 1938, Orson Welles recitò un radiodramma tratto da La guerra dei mondi, presentandolo come un vero notiziario speciale. Il programma raccontava minuto per minuto un presunto sbarco dei marziani a Grovers Mill, New Jersey. La reazione fu immediata: molti ascoltatori, presi dal panico, intasarono le linee telefoniche, si rifugiarono dove potevano o fuggirono nei boschi.
Chi era Orson Welles?
All’epoca, Orson Welles non era ancora il celebre regista che conosciamo oggi. Nel 1937, insieme all’amico John Houseman, fondò la compagnia teatrale Mercury Theatre. Già l’anno successivo, la CBS li assunse per produrre il Mercury Theatre on the Air, un programma che trasformava i classici della letteratura in radiodrammi.
La puntata del 30 ottobre fu un punto di svolta. Hollywood si accorse di lui, e la RKO gli offrì un contratto esclusivo con piena libertà creativa – un evento unico all’epoca. Il risultato? “Quarto Potere” (Citizen Kane) del 1941, considerato ancora oggi dall’American Film Institute come il film più bello della storia del cinema.
Il contesto: quando la radio era tutto
Negli Stati Uniti degli anni ’30, la radio era il cuore dell’informazione e dell’intrattenimento.
-
Nel 1927, un terzo della spesa per arredamento veniva destinata a nuovi apparecchi radio.
-
Tra il 1922 e il 1923, le stazioni passarono da 28 a 570 in pochi mesi.
La radio era ovunque: informava, divertiva, educava. Il cinema sonoro era agli esordi, la televisione ancora un sogno. Gli americani erano sedotti dalla possibilità di ascoltare eventi lontani stando comodamente in salotto.
Il racconto che fece tremare l’America
La sera del 30 ottobre 1938, la puntata si aprì con un falso bollettino meteo, seguito da una finta interruzione musicale e poi dal “notiziario d’emergenza”:
“Signore e signori, interrompiamo questo programma…”
La trasmissione simulava una cronaca in diretta dell’invasione:
“Mio Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio… La folla indietreggia…”
E poi ancora:
“Tutte le comunicazioni con New York sono state interrotte… Il nostro esercito è distrutto…”
Dopo un’ora, si udirono urla, rumori, un tonfo. Il cronista “morì” in diretta.
La reazione e lo scandalo
Il giorno dopo, la stampa attaccò duramente Welles. La Commissione Federale delle Comunicazioni (FCC) aprì un’indagine, ma non ci furono sanzioni. Welles, ironico, dichiarò:
“Per quello che abbiamo fatto sarei dovuto finire in galera, ma, al contrario, sono finito a Hollywood.”
Quella sera davanti alla radio
La Hooper Rating Company stimò che l’ascolto arrivò a toccare il 15% di share, pari a circa 6 milioni di persone. E questo solo grazie al passaparola.
Molti ascoltatori si spaventarono sul serio, nonostante il programma fosse stato annunciato come fiction più volte durante la trasmissione.
Perché ci credettero?
Secondo lo psicologo Albert Cantril, le ragioni furono:
-
Realismo narrativo: Welles scelse un formato da notiziario, con falsi esperti e dichiarazioni governative.
-
Contesto storico teso: il mondo era in bilico per la guerra, il trauma della Grande Depressione era recente.
-
Credibilità del mezzo: la radio era considerata affidabile e “sacra”.
Inoltre, il mese prima, le trasmissioni erano state realmente interrotte per aggiornare gli americani sulla crisi di Monaco.
Se lo dice la radio…
Certo, all’epoca non esistevano né Internet né i social. Tuttavia, sarebbe bastato cambiare stazione per rendersi conto che le altre trasmettevano soap opera e spettacoli musicali come sempre.
Molti lo fecero, ma altri si riversarono in strada, cercando conforto o aiuto, alcuni perfino nei boschi o nelle basi della Guardia Nazionale. L’eco della frase “Se lo dice la radio, dev’essere vero” si trasformò in panico collettivo.
Una lezione ancora attuale
Una lapide commemorativa oggi segna il luogo immaginario dell’invasione: Grovers Mill, New Jersey.
E viene spontaneo chiedersi: quante volte oggi accade lo stesso?
Notizie allarmistiche sull’immigrazione, aggiornamenti sconvolgenti sulla pandemia, bufale virali… Basterebbe una verifica per smentirle, eppure continuano a diffondersi.
Orson Welles forse non cercava tutto questo. O forse sì. Di certo, con quella trasmissione creò la prima “fake news” perfetta della storia. La mise in scena, la diffuse e osservò la reazione.
Un esperimento mediatico che, nel bene o nel male, è entrato nella leggenda.