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Isola di mezzo, più vicina all’Africa che al resto d’Italia, selvaggia e ribelle, con coste chilometriche che cadono a strapiombo sul mare, acque limpide che hanno visto i nostri volti specchiati dalla più tenera età fino a quella adulta. E poi, quei boschi, quelle montagne non troppo alte, ma aspre e piene di storia, legami, tradizioni. Grandi campi di grano coltivati con estrema cura, e di fianco quelle aziende agricole e i loro pascoli a guida dei fedeli maremanni, camminano tutti in fila. Bloccano pure il traffico a volte, perché parte della carreggiata spetta pure a loro: siamo abituati, è parte di noi anche questo.
Da sabato non esistono più quelle lucenti sfumature blu del mare e quel verde misto al giallo paglierino dei boschi. Il fuoco ha invaso gran parte dei paesi dell’oristanese, Bonarcado, Cuglieri, Santu Lussurgiu, fino al Montiferru, rendendoli cenere. Più di 1500 persone costrette a lasciare le loro abitazioni, oltre 20 mila ettari di paesaggio andati distrutti, numerosi animali hanno perso la vita, arsi vivi. Queste sono le cifre dell’incendio che da giorni sta distruggendo la Sardegna.
Fuoco e fiamme
Il territorio arido a causa della mancanza della pioggia e delle temperature roventi e i venti di scirocco, di libeccio e di maestrale complicano la situazione, spostando continuamente il fuoco, difficile così da domare. Non bastano cinque canadair a spegnere gli incendi. In soccorso, sono arrivati altri elicotteri dalla Grecia e dalla Francia. Lo stato ha attivato subito il Meccanismo europeo di protezione civile (EUCPM) e la Regione Sardegna, nello specifico, ha deciso di decretare lo stato d’emergenza, utile per poi richiedere lo stato di calamità. Le dieci squadre a terra dei vigili del fuoco non si fermano un attimo.
Ancora incerte le origini del rogo. Per alcuni si fa strada l’ipotesi del dolo, mentre per altri tutto sarebbe partito da una vettura che ha subito un corto circuito dopo un tamponamento. Intanto, anche altre zone della Sardegna bruciano, come a Ittiri (Sassari), dove le fiamme si sono prese 150 ettari di campagna.
La perdita dell’identità
Boschi, oliveti, campi, macchia mediterranea, foraggi, ulivi, lecci, sugheri, alberi secolari, si sono persi all’improvviso. Secondo la Coldiretti Sardegna, non basteranno 15 anni per ricostruire i boschi e la macchia mediterranea. Solo guardando le foto satellitari si capisce quanto questo incendio sia stato invasivo. Una grossa macchia nera mostra il percorso del fuoco. Anche l’olivastro millenario simbolo di Cuglieri, piantato 4.000 anni fa, non ha resistito alla potenza delle fiamme, trasformato in un cumulo di cenere e fuliggine, con ai piedi del tronco i segni di millenni di vita andati in fumo nel giro di pochi minuti.
L’olivastro millenario di Cuglieri prima e dopo l’incendio
Non solo la flora, ma anche la fauna non è stata risparmiata dall’incendio. Impossibile contare tutti gli animali rimasti vittime dell’incendio. Pecore, maiali, mucche, cavalli hanno perso la vita insieme alle aziende degli allevatori e degli agricoltori. E chissà quanta fauna selvatica è rimasta vittima di questo grande rogo. Sui social, simbolo della tragedia sono diventati i cani pastori, fedeli al loro ruolo anche nel pericolo, una fedeltà di gran lunga maggiore rispetto a quella umana. Tanti sono i racconti di cani che non hanno abbandonato le greggi, nonostante le fiamme lambissero i terreni a cui dovevano fare la guardia. A Tresnuraghes (Oristano) due maremmani non hanno mai abbandonato il loro gregge, da soli senza la guida del pastore, in quella cappa di fumo, hanno portato le loro pecore nella città, salvandole. Un altro è rimasto ustionato mentre proteggeva gli ovini. I cani pastore sono diventati simbolo di caparbietà e tenacia nonostante le difficoltà, una caratteristica insita nella popolazione sarda.
Una storia che si ripete
Lo stesso territorio era già stato colpito da un rogo doloso nell’agosto del 1994. L’incendio interessò le foreste racchiuse in cinque comuni dell’oristanese, tra cui Bonarcado e Santu Lussurgiu. Ma l’incendio che più ricorda quello odierno risale al 28 agosto 1989. La zona colpita era quella che andava dal golfo di Cugnana sino alla Costa Smeralda. Fu devastante, portò con sé tredici vite, di cui otto rimaste intrappolate nelle automobili, nel tentativo di sfuggire alle fiamme. Ecco come veniva raccontata la vicenda nell’edizione del 28 agosto 1989 di Stasera News, notiziario di Telemontecarlo.
Tutto ritorna
Da quando sono giunte in tutta Italia le immagini devastanti da Oristano, è scattata la solidarietà. C’è chi si è offerto di fare dei viaggi per portare il fieno per gli animali, perso durante l’incendio. Chi offre dei locali per dei punti di raccolta per l’emergenza incendi. Chi offre box e veterinari per gli animali feriti dalle fiamme. O chi semplicemente intende donare beni di prima necessità alle persone che hanno perso tutto. Tutto ritorna. La Sardegna ha sempre offerto solidarietà alle altre regioni che hanno subito calamità naturale. Durante il terremoto del 2017, ad esempio, i pastori sardi donarono ai loro colleghi dell’Umbria 1000 pecore. Pur essendo abituata a subire i danni del fuoco ogni estate, da anni non si vedeva un incendio di tali proporzioni. La domanda è se si poteva evitare tutto questo, e la risposta è un netto sì. Il fenomeno incendiario, proprio in virtù della sua ciclicità, non dovrebbe mai essere un evento improvviso al punto da creare un tale devasto. Gli incendi boschivi sono un problema per l’ecosistema sardo e le vite dei suoi abitanti, con dinamiche spesso assai illecite alle spalle, oltre all’elemento casualità, e di cui nessun governo al potere ha saputo dare una vera risoluzione.
Bella mama addolorada
Il presidente della Regione sarda Solinas evoca lo stato di emergenza prima ancora della conta dei danni: sintomatico di una politica che arriva puntuale solo in tempo di slogan. È una continua gara di parole che impegna a tagliare il traguardo, ma pochi sembrano i fatti. Nessun dubbio invece, sulla tenacia del popolo sardo, mai ridotto in polvere di cenere. Sono forti, temprati da anni di sottomissioni e derisioni, sapranno reagire. Rinascerà dalle sue stessi ceneri, la Sardegna come l’araba fenice. Quando l’effetto mediatico sarà passato, non dimentichiamo. La tavolozza di colori della Sardegna è cambiata, ma nel cuore e nell’anima di un vero sardo le sfumature rimarranno sempre quelle dei tramonti e delle albe a cui ci ha abituato. <<Sa Sardinia ara torrai a nasci pru forti de su fogu>> e risuonano ancora più forti le parole della canzone dei Tazenda, come un abbraccio, “bella mama addolorada, rispondi al grido della follia”.
Valentina Brioccia, Raffaele Pitzalis
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