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Telefonami tra vent’anni: gli italiani e il telefono

4 ' di lettura

Il rapporto degli italiani col telefono è la storia di un amore felice e ricambiato. Non si parla certo di “noiggiovani”, vittime dello smartphone più che fruitori di un mezzo essenziale. Si parla del legame generale della nostra nazione con lo strumento che, ancora oggi, rappresenta la nostra Sigonella, che vede il Meucci tricolore mettersi contro il Graham Bell a stelle e strisce per intestarsi la paternità di un apparecchio che – al pari forse solo della televisione – ha rivoluzionato la comunicazione nel XX secolo. Ma si va oltre la storia del telettrofono, delle comunicazioni di guerra o ancora delle signorine telefoniste degli anni del Dopoguerra, che sfilavano ed inserivano grossi cavi da apparecchi simili ai sintetizzatori per mettere in collegamento persone da paesi diversi. Guardiamo invece, quanto il telefono sia non una rivoluzione ma la rivoluzione che ha attraversato il nostro Paese.

Le origini (gli anni Sessanta e Settanta)

Quando la diffusione dell’apparecchio telefonico iniziava ad essere capillare erano gli anni ’60-’70. Nonostante un sicuro portato innovativo, il telefono era considerato con diffidenza. Gli venivano comunque preferite, soprattutto per abitudine, le lettere e i tempi biblici delle poste italiane. I primi tentativi di sdoganarlo su larga scala furono effettuati addirittura dalla Radio. “Chiamate Roma 3131” è stato uno storico programma in onda media trasmesso dal Secondo Programma – oggi Radio2 – iniziato nel 1968 e chiuso nel 1995. Prevedeva per la prima volta la partecipazione diretta del pubblico, senza filtri, attraverso la telefonata in diretta. Un’altra visione legava invece quella cornetta con un disco rotante al centro al romanticismo, qualcosa cui affidare profondità dell’anima. Come in Se telefonando di Mina o Piange il telefono di Domenico Modugno.

Ti telefono o no. L’esplosione del telefono (gli anni Ottanta)

Dagli anni Ottanta in poi, il telefono prende ad essere uno strumento diffuso ormai in tutto lo stivale. E se negli Stati Uniti la Motorola lanciava il Dynatac 8000, primo prototipo di cellulare, del peso di 1,1 kg e dal costo di 4000$, l’idea di una telefonia mobile andava rivestendosi di un’aura di coolness che proiettava il telefono ad essere lo strumento di riferimento degli uomini d’affari, che potevano così chiudere trattative in tempo reale, anziché affidarsi a mezzi impersonali come le raccomandate. La sua capacità di intermediazione, mettendo in contatto le voci, e con esse le persone è la cifra della sua rivoluzione. Ti telefono o no, ti telefono o no, chissà chi vincerà. Ogni bar, ogni posto pubblico, aveva un telefono a gettoni. Si faceva la fila di domenica per poter chiacchierare un po’ con qualcuno, “per trovarsi in tasca qualche spicciolo e dirsi ‘ti amo’ per telefono e poi saltare anche la cena per parlare e per mangiare quattro chiacchiere“. Così come nelle caserme durante la naja i militari si accordavano più sui turni da fare col telefono a gettoni che su quelli di vedetta, in omaggio alla legge dell’avrai un telefono vicino, che vuol dire già aspettare. Alla fine degli anni ‘80 la Nokia entra nel futuro lasciando aperta la porta. Viene infatti annunciato il Mobira Cityman (detto anche “Gorba” per via della famosa foto in cui è nelle mani di Gorbaciov), il primo vero e proprio telefono mobile, portatile.

Mikhail Gorbaciov con il Mobira Cityman, che proprio da questa foto prende il suo soprannome “Gorba”.

La liberalizzazione degli anni Novanta

Negli anni ‘90, nelle case iniziano ad entrare i cordless, innovazione spartiacque nella percezione della comunicazione telefonica: la telefonata diventava comunicazione privata, per di più annullando le distanze nell’ultimo scampolo di mondo ancora pre-Internet, andava ad allungare la vita, come sa bene Massimo Lopez. Inoltre, con lo sviluppo incontrollato di aziende come le stesse Nokia e Motorola, ma anche Siemens e Samsung, il telefono cellulare inizia a farsi strada nelle tasche dei pantaloni, soprattutto dei giovani. Il riassetto del sistema delle telecomunicazioni ancora, spinge allo sviluppo delle compagnie di telefonia mobile, così già nel 1998 abbiamo i tre “giganti” italiani: TIM, Omnitel (controllata inizialmente dalla Olivetti, poi acquistata dalla Vodafone) e Wind (nata invece da un accordo tra Enel, France Télécom e Deutsche Telekom).

Il celebre spot “Una telefonata allunga la vita” interpretato da Massimo Lopez

Dal primo iPhone ai social (gli anni Duemila)

Da qui in poi la strada è tracciata, e prevede un progressivo accantonamento dei sistemi di telefonia fissa ad appannaggio esclusivo dello sviluppo del mobile, che acquisisce uno status di normalità in così poco tempo che sarebbe ingiusto anche parlarne come rivoluzione. È un vero e proprio terremoto mediatico, i cellulari sono ovunque. Pubblicità, film, nelle custodie di pelle attaccate alla cintura, il XX secolo si chiude mentre Megan Gale si arrampica a mani nude su un grattacielo e si apre il Duemila. Nel giro di un decennio scarso il cellulare – o telefonino, per i più attempati -da simbolo di avanguardia diventa già obsoleto. E, con buona pace di quanti hanno guadagnato miliardi vendendo suonerie polifoniche, nel 2007 Steve Jobs annuncia qualcosa senza tasti: il primo iPhone. Faceva tutto quello che facevano i cellulari normali, solo che la telefonata diventava l’ultima delle cose da farci. Nasceva il concetto di smartphone, quello di app, si ridisegnava il mercato (le storiche aziende – soprattutto Nokia e Siemens – spariscono prima di riuscire a trovare una collocazione nel mercato smart). Il telefono diventava una vera e propria workstation alla portata di tutti, mentre lo sviluppo dei social media rendeva lo smartphone una seconda pelle, un accessorio irrinunciabile in qualsiasi gesto quotidiano.

Telefono? Chiamiamolo smartphone (dal 2000 ad oggi)

Per tutti gli anni ‘10 gli smartphone sono stati la via maestra, con l’ingresso in gioco di Android e di migliaia di produttori che offrono strumenti ormai potenti a prezzi sempre più bassi. Il 2020 poi, con l’introduzione di concetti come smartworking e didattica a distanza, è stata l’ennesima bomba a piovere su questo mercato, portando ad un’ulteriore accelerata dei consumi di telefonia mobile. Il Rapporto Auditel-Censis 2020 testimonia che, per la prima volta, in Italia si contano più smartphone (44,7 milioni) che televisioni (ferme a 42,7 milioni) mentre il Global Mobile Consumer Survey di Deloitte già dall’anno prima fotografava come la percentuale di italiani in possesso di uno smartphone sia prossima al 93%.

Dunque, possiamo dire con buona approssimazione che tutti oggi hanno un cellulare. Ne usiamo pressoché ogni funzione, soprattutto quelle social che consentono di rendere ancora più intime certe dinamiche comunicative. Ma rappresentano anche una finestra sull’esterno, nel momento in cui sarebbe preferibile rimanere all’interno. Piaccia o meno, la linea tracciata è questa. È una linea certamente pericolosa, se iniziamo a ragionare anche di dati e privacy. Ma non era l’obiettivo di questa sede. Lo smartphone ha smesso di essere un telefono. È diventato lo strumento principale di espressione, il segno distintivo di un’epoca, come la Vespa negli anni Sessanta o le Timberland vent’anni dopo. Solo che se Bauman negli anni Ottanta aveva dato la colpa a Reagan e al suo edonismo neoliberista, ad oggi che è tutto società liquida possiamo incolpare, al massimo, il ballerino della Tim.

Mario Mucedola

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