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Patrick Zaki, Sanaa Seif, Giulio Regeni. Smettiamo di chiamare governo il terrorismo di al-Sisi

7 ' di lettura

«In questo momento l’Egitto può essere salvato soltanto dalla leadership di al-Sisi, questa è la mia opinione personale. Sono orgoglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a proseguire nella direzione della pace perché il Mediterraneo senza Egitto sarà senza dubbio un posto senza pace>>. Era il 2015 quando Matteo Renzi, allora Presidente del Consiglio dei ministri italiano, pronunciava questo patto di fedeltà. Nel 2018 Abdel Fattah al-Sisi si candida per il secondo mandato, vincendo le elezioni con il 98% delle preferenze. A detta delle organizzazioni che hanno denunciato le elezioni: “Hanno calpestato anche i requisiti minimi necessari per un’elezione libera e senza brogli, soffocando le libertà di base ed eliminando gli sfidanti di rilievo di al-Sīsī”.

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Sanaa Saif – le violenze e l’arresto

23 giugno 2020. Se un articolo inizia con una data, quella data in sé rappresenta una notizia di rilievo da restituire al lettore. In Egitto, davanti al carcere di Tora, Sanaa Seif è in diretta sul suo profilo Facebook. Urla, piange ed è disperata. Sarà la sua ultima diretta. Il suo account Facebook da più di centomila follower da quasi un anno è fermo a quella data. Alcune ore dopo verrà arrestata con l’accusa di diffusione di false notizie contro il governo. Dieci mesi dopo è ancora in carcere e il suo processo è solo alle battute iniziali. Per raccontare di come si è arrivati all’arresto è necessario tornare indietro a 24 ore prima, quando la giovane attivista diffonde dal suo profilo Fb questo post.

22 giugno, il giorno prima dell’arresto

A denunciare l’accaduto è la sorella di Sanaa Seif, Mona. Il 22 aprile Sanaa documenta tutto sul suo account social. Ci sono diversi video molto confusi in cui Sanaa corre, è spaventata e si sente in pericolo, poi il buio. Riappare qualche ora dopo con tagli e ferite da percosse denunciando apertamente gli aggressori e riconoscendoli come “agenti in borghese del governo”. Di dibattere su come sia possibile che agenti governativi aggrediscano una ragazza di vent’anni non c’è bisogno, siamo in Egitto, sotto il regime sanguinario e dittatoriale di ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī e le sole otto righe introduttive di Wikipedia bastano a tracciarne i contorni. Ma di questo ci occupiamo tra pochissimo. 

Il giorno dopo l’aggressione Sanaa, accompagnata dalla madre Laila, dalla sorella Mona, e dal loro avvocato si dirigono, come da prassi, a denunciare l’episodio. Sanaa comprende che la sua unica salvezza può essere acquisire e sfruttare potere mediatico. Nonostante sia scossa, trema, piange, ed è disorientata, accende la videocamera del cellulare e mentre cammina cerca di raccontare i fatti degli ultimi giorni, incriminando il regime dittatoriale di AL-Sisi della violenta repressione e annientamento dei diritti umani in atto in Egitto. Cinque minuti e quarantotto secondi ne tracciano i confini.  Il video non si ferma perché Sanaa è arrivata in commissariato per fare la denuncia e, varcando la porta si è sentita sicura e protetta. Termina solo perché un furgone bianco la rapisce in mezzo alla strada, nell’area di New Cairo e la porta, in poche ore, in carcere, regime detentivo.

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La lettera di Mona Seif, sorella di Sanaa

Subito dopo l’arresto di Sanaa e prima ancora di suo fratello Alaa, Mona decide di scrivere una lettera aperta per raccontare ai paesi occidentali tutto l’orrore del regime di al-Sisi. 

“Questa è una mia lettera aperta che chiede solidarietà e il tuo sostegno. Mi chiamo Mona Seif, nelle ultime settimane il regime egiziano ha intensificato gli attacchi violenti alla mia famiglia. Se state seguendo le notizie di questa parte del mondo allora sai di come delle piattaforme mediatiche siano state bloccate e molti giornalisti arrestati o spinti in esilio. Quindi ti scrivo, sperando che porterai la mia voce e quella di tutti coloro che devono affrontare la giustizia qui. Mio fratello Alaa è in prigione dallo scorso settembre. La notte dell’arrivo in carcere a Tora è stato spogliato, piegato, bendato e minacciato. Dal 9 Marzo tutte le visite sono state vietate in tutte le carceri dell’Egitto, il 22 giugno siamo state derubate e picchiate proprio davanti alla prigione di Tora, davanti alle guardie. Ci hanno rubato tutti i documenti e le carte di credito, anche i contanti. Il giorno dopo Sanaa è stata rapita ed arrestata mentre stava andando a denunciare i fatti del giorno prima. Ora non ci è permesso né vederla né sentirla. Penso di aver visto molto, ho assistito a troppe violazioni commesse dal regime attuale e da quelli precedenti. Mai avrei immaginato che una vittima sarebbe stata rapita e aggredita dallo Stato che dovrebbe garantire la sicurezza. Sia mia sorella Sanaa che mio fratello Alaa sono in carcere. Loro e migliaia di prigionieri rischiano il pericolo del regime brutale e insensato di Al-Sisi”.

Alaa Abdel Fattah, fratello di Mona e Sanaa è tra i primi prigionieri di Tora a denunciare l’uso di scariche elettriche come strumento di tortura verso i detenuti. Queste dichiarazioni, unite all’attivismo di Sanaa e all’uso dei social come denuncia delle atrocità, ha spinto il governo di al-Sisi a spegnere e reprimere la voce della giovane ragazza. In un normale governo democratico il Ministero dell’Interno preposto a vigilare sul corretto funzionamento del sistema penitenziario avrebbe avviato una indagine interna mirata a verificare se le dichiarazioni di Alaa fossero argomentate e vere. Il Ministero egiziano ha preferito smentire ancor prima di verificare. 

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Le follie dell’Imperatore Al-Sisi. Tre anni in carcere per una foto su Facebook

“Da quando il presidente al-Sisi ha preso il potere – ha dichiarato in una nota ufficiale Magdalena Mughrabi, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord –, la situazione dei diritti umani in Egitto ha conosciuto un deterioramento catastrofico e senza precedenti. Attraverso una serie di leggi draconiane e di tattiche repressive delle sue forze di sicurezza, il governo del presidente al-Sisi ha orchestrato una campagna coordinata per rafforzare la stretta sul potere, erodendo ulteriormente l’indipendenza del potere giudiziario e imponendo soffocanti limitazioni nei confronti dei mezzi d’informazione, delle Ong, dei sindacati, dei partiti politici e dei gruppi e attivisti indipendenti“. 

Amir Nohan è un giovane ragazzo egiziano, condannato a tre anni di carcere – in regime detentivo a Tora – per aver postato su Facebook una caricatura di al-Sisi con le orecchie di Topolino. Ha poi pubblicato un video su Facebook in cui condannava fermamente la dura repressione del governo egiziano nei confronti dei tanti giovani che decidono di sacrificarsi per portare le violenze e le violazioni dei diritti umani fondamentali alla ribalta mediatica mondiale. 

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In sei anni di governo il compito delle leggi è stato reprimere i diritti umani

Il pretesto è sempre identico: “Combattere il terrorismo”. Con questa scusa negli ultimi sei anni il governo di al-Sisi ha strappato libertà e diritti a migliaia di persone. Punto di forza, in questa direzione, è stato l’operato della NSA, l’agenzia di sicurezza nazionale con sede al Cairo che – come in ogni dittatura che si rispetti, vedi KGB sovietico – funziona da mano esecutrice del volere governativo. In un rapporto di Amnesty International si denota che l’NSA ha regolarmente utilizzato sparizioni forzate, torture e maltrattamenti per estorcere confessioni e punire gli oppositori. Subito dopo l’insediamento di al-Sisi, il governo ha promulgato una serie di leggi che legittimavano le violazioni dei diritti umani e allo stesso tempo garantivano impunità alle forze governative che violavano i diritti aggredendo ed arrestando civili. In particolare, la legge sull’antiterrorismo promulgata nel 2015 numero 94, consente alle autorità di eseguire arresti arbitrari di massa, e consente la custodia cautelare dei prigionieri a tempo indeterminato in carcere atto a minare il giusto processo. Appare così chiaro perché il tribunale del Cairo continua da più di un anno ad allungare il regime di detenzione di Patrick Zaki per 45 giorni alla volta. L’impunità – si legge in un report di Amnesty – si è ulteriormente rafforzata con la legge sugli alti dirigenti delle forze armate (161/2018) che consente al presidente di concedere l’immunità agli alti ufficiali militari per le violazioni dei diritti umani commesse tra il 2013 e il 2016, periodo in cui centinaia di manifestanti per le libertà fondamentali vennero uccisi. 

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I numeri del regime in questi anni di governo sono barbari. Dal 2014 sono state emesse più di 1891 condanne a morte. Da 300 raccomandazioni fatte dagli altri Stati in tema di diritti umani, l’Egitto ne ha accettate in modo parziale undici. Nel 2017 è stata varata una legge sulle Ong mirata a reprimere libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica. La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne le attività e di indagare liberamente il personale delle Ong per reati vaghi indicati dalle autorità. Dal maggio del 2017 più di 513 siti web sono stati oscurati dal regime: per la maggior parte siti di informazione e di salvaguardia di diritti umani. 

Il carcere di Tora, la tortura e il nemico di Stato: libera manifestazione del pensiero

In una vita parellela Sanaa, Alaa, Patrick avrebbero avuto molto da dire, studiare ed argomentare. Avrebbero passato molte ore insieme da giovani egiziani a costruire un futuro fresco per il loro paese. Si sarebbero riuniti in un edificio ed avrebbero fondato un’associazione libera. Avrebbero avuto la possibilità di vedersi ogni giorno per cooperare. Oggi Sanaa, Alaa, Patrick sono nello stesso posto, ed ognuno ha la sua cella, tre metri per tre metri. Tutti e tre sono stati arrestati per lo stesso reato: manifestazione di idee contro il regime, tradotto nella legge egiziana significa “terrorismo contro il governo”. Il carcere di Tora è la gabbia repressiva del regime egiziano dove vengono portati tutti gli oppositori, critici e dissidenti del regime di al-Sisi. Un water ed un piano di cemento come letto per dormire. Cinquanta gradi è la temperatura che nelle giornate più calde si raggiunge.

Immagine di copertina

I blocchi penitenziari sono tutti a forma di H. Il settore direttivo decide liberamente se e quando sospendere ogni forma di comunicazione dei detenuti con le proprie famiglie. Il carcere si trova alla periferia del Cairo. E’ diviso in diverse sezioni. È ancora sovraffollato per via degli arresti dopo le manifestazioni di piazza Tahir del 2011 dove, con l’accusa di terrorismo vennero arrestati centinaia di giovani. I diritti umani, dal momento in cui si varca la porta di ingresso, cessano di esistere. L’ultimo restauro – se così si può chiamare – è stata la creazione da parte di al-Sisi di un comparto per gli oppositori e dissidenti politici. Il braccio si chiama Scorpion e l’ultimo prigioniero politico arrivato è Ibrahim Metwally, avvocato della famiglia Regeni al Cairo. Il ministro dell’interno egiziano è Magdy Abdel el-Ghaffar, precedentemente parte dei servizi segreti egiziani, ed è responsabile delle decisioni del comparto di amministrazione giudiziaria, nonché di torture e sparizioni dei dissidenti politici e giovani manifestanti. Solo tra il 2013 e il 2014 sono state arrestate più di quarantamila persone. In un documento di HUMAN RIGHTS WATCH vengono raccontate nel dettaglio le atrocità del carcere di Tora, dove i detenuti non hanno hanno accesso a materassi ma solo a lastre di cemento. 

E il vaccino per combattere il COVID-19 sarà a pagamento

Le violenze nel regime egiziano sono all’ordine del giorno. Il popolo egiziano non ha nessuna tutela in alcun campo della sfera civile. Negli ultimi anni la situazione è andata peggiorando, basta ascoltare le ultime dichiarazioni di governo, secondo le quali il vaccino per il covid-19 sarà gratis solo per i bisognosi e per chi non può permetterseli – sarebbe utile analizzare i requisiti -, mentre per tutto il resto della popolazione saranno a pagamento. I vaccini si dovranno prenotare su una piattaforma dedicata e saranno interamente pagati dai singoli cittadini. Per le due dosi di vaccino il governo chiede 20/21 dollari, lucrando quindi perfino sulla somministrazione vaccinale. Un report, stando alle dichiarazioni del Ministero della salute egiziano, analizza che il governo garantirebbe il vaccino gratuito solo al 4% della popolazione. I motivi della scelta sarebbero economici, in quanto lo Stato non ha la possibilità di produrli – ma ha la possibilità di spendere 20 miliardi di dollari in armi in cinque anni. L’idea di fornire il vaccino esclusivamente a pagamento è una nuova forma di imprenditoria per il governo egiziano, sopratutto nell’ottica di cooperazione con la Repubblica Popolare Cinese che la scorsa settimana ha inviato in forma del tutto gratuita 300 mila dosi di vaccino Sinopharm: “Ministry spokesman Khaled Megahed said in a statement that the shipment was a gift from China meant to bolster cooperation between the two nations in the fight against the virus”, ma questa è un’altra storia.

Raffaele Buccolo

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