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Perché i virus nascono spesso in Cina?

6 ' di lettura

Una domanda che spesso ci si pone, ma a cui poche volte si riesce trovare risposta. Si sentono le teorie più disparate: c’è chi sostiene che la colpa sia di chi mangia animali selvatici, chi sostiene che i virus vengano creati in laboratorio da scienziati pazzi intenzionati a dimezzare la popolazione, oppure ancora che sia dovuto alla mancanza di igiene delle popolazioni in questione. Probabilmente, come spesso accade, la risposta sta nel mezzo. Il soggetto principale, frequentemente attaccato, è proprio la Cina: dall’Influenza asiatica del 1957 all’Influenza di Hong Kong del 1968, passando per la SARS e ovviamente il nuovo Coronavirus, Covid-19.

Diverse le teorie, risultate molto parziali o infondate attorno al virus che ha scatenato la pandemia. Inizialmente furono le somiglianze con il caso SARS. Questo ha permesso di poter identificare il virus in pochi giorni. La sequenza genetica di quello che oggi conosciamo come Wuhan novel Coronavirus (nCoV) però, lascia ancora molti dubbi sull’origine dell’epidemia. In natura esiste una grande diversità di Coronavirus in molte specie di mammiferi e uccelli. Ad oggi si conoscono almeno 50 virus appartenenti allo stesso cluster dello stesso nuovo coronavirus che circolano nei pipistrelli, ma sono considerati innocui per l’uomo.

Se non riusciamo ad ottenere una risposta soddisfacente, è perché non ci sono certezze. Perciò, si continuano a valutare i possibili fattori che potrebbero aver contribuito alla nascita dei virus, in particolare in Cina e seguire gli esiti delle ricerche scientifiche.

Fattori socioculturali

Molti studiosi hanno tentato di individuare le cause scatenanti dell’epidemia di SARS e già da tempo sono stati citati tra questi i fattori sociali e culturali, vale a dire comportamenti umani ormai radicati, come la caccia, il commercio e il consumo di animali selvatici, le scarse condizioni igienico-sanitarie dei mercati, l’urbanizzazione.

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Mercato di Guangdong

Condizioni queste, tipiche dei paesi tropicali, che contribuiscono ad aumentare il contatto tra diverse specie selvatiche, creando maggiori possibilità di trasmissione. Bisogna poi considerare anche che la commistione innaturale di animali diversi in condizioni di forte stress tipiche dei mercati di animali aumentano la possibilità di creare nuove varianti, proprio come se ci si trovasse all’interno di un laboratorio.

Si è parlato molto della somiglianza del virus Covid con un virus di pipistrello. I CoV erano per lo più associati a malattie veterinarie, che coinvolgevano bestiame e animali domestici che agivano come ospiti intermedi per il trasferimento all’uomo. Si sospetta, infatti, che l’infezione accidentale di un ospite intermedio abbia fornito al virus la possibilità di mutare.

Ma tutto questo non era sconosciuto agli scienziati. Da anni infatti, vengono condotti studi sull’importanza di gestire il traffico illegale e non, di animali in condizioni di forte stress. Escludendo le implicazioni etiche del caso, il motivo principale è proprio la possibilità di entrare in contatto con infezioni di origine animale che per l’uomo potrebbero essere dannose.

La raccolta, il consumo e il commercio di carne selvatica sono cause importanti della perdita di biodiversità e della comparsa di potenziali malattie zoonotiche. In Africa, ad esempio, è estremamente diffusa la caccia al pipistrello della frutta Eidolon helvum, una specie importante per l’ambiente e per la salute pubblica. Questa attività, oltre a danneggiare gravemente la sua capacità di fornire servizi ecosistemici vitali, dà vita a preoccupazioni significative in merito alla capacità di questa specie di ospitare diverse infezioni zoonotiche di elevata importanza per la salute pubblica.

Questi virus includono i lyssavirus, come il virus della rabbia, i filovirus, come il virus Ebola (EBOV), e anche il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS), per citarne solo alcuni. Conseguentemente molte sono state le ricerche svolte al cui centro si trovano proprio i pipistrelli.

Gli studiosi hanno rivelato la coesistenza di SARS-CoV altamente diversificati nelle popolazioni di pipistrelli in una grotta della provincia dello Yunnan, Cina. Tra gli studi più famosi ci sono quelli condotti da Shi Zhengli, detta “Batwoman”, virologa 55 enne specializzata nello studio del genoma dei pipistrelli e responsabile del Centro malattie infettive dell’Istituto di Wuhan. I suoi studi sulla SARS hanno dimostrato, grazie alle sue spedizioni all’interno delle principali grotte cinesi che ospitano colonie di pipistrelli, che quelli delle province del Guangdong, Guangxi e Yunnan hanno il rischio maggiore di essere i coronavirus che vengono trasmessi agli esseri umani dagli animali, in particolare dai pipistrelli.

Zibetto

L’ipotesi più accreditata al momento è che il progenitore diretto della SARS-CoV sia stato prodotto per ricombinazione all’interno dei pipistrelli e poi trasmesso agli zibetti d’allevamento, mammiferi originari dell’Asia tropicale e subtropicale e dell’Africa, su cui erano stati trovati i ceppi di SARS-CoV. Quando gli zibetti infettati dal virus sono stati trasportati al mercato del Guangdong, il virus si è diffuso nel mercato e ha acquisito ulteriori mutazioni prima che si propagasse all’uomo.

È noto come in questi mercati fossero venduti animali vivi, appartenenti a specie allevate ma anche catturate dal loro ambiente naturale. Al momento la Cina ha bandito temporaneamente queste attività conseguentemente all’epidemia, ma è probabile che i mercati vengano riaperti in futuro, come successe già nel 2003 dopo qualche mese dall’ultimo caso di SARS.

Il fatto che Wuhan nCoV somigli a un virus di pipistrello ma che sia, a differenza della maggior parte esistenti in natura, in grado di infettare l’uomo, è probabilmente dovuto ad una mutazione, grazie al passaggio dal pipistrello ad un altro animale all’uomo. L’analisi bioinformatica ha inoltre suggerito che c’erano già diversi eventi di trasmissione di CoV tra pipistrelli, zibetti e umani prima dell’epidemia di SARS del 2002.

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Pangolino

Qualcuno invece, sostiene che tale modifica sia avvenuta all’interno di pangolini. Forme virali presenti in pangolini importati illegalmente in Cina sono risultate simili al nuovo coronavirus. Il pangolino è utilizzato a scopo alimentare e nella farmacopea tradizionale del Paese. Ciò spiegherebbe le modalità di passaggio dall’animale all’uomo.

Ad ogni modo, una certezza su quale animale intermedio abbia causato la mutazione che ha poi raggiunto l’uomo non può essere data. Poco importa quale animale sia stato la causa, quando in realtà le colpe sono più da attribuire all’azione dell’uomo.

È difatti, ampiamente accettato che molti virus esistano nei loro contenitori naturali da molto tempo. La costante diffusione di virus dagli ospiti naturali all’uomo e ad altri animali è in gran parte dovuta alle attività umane, comprese le moderne pratiche agricole e l’urbanizzazione. Pertanto, il modo più efficace per prevenire la zoonosi virale è mantenere le barriere tra i serbatoi naturali e la società umana, tenendo conto del concetto di “One Health”, che riconosce la salute umana come strettamente connessa alla salute degli animali e allo stato ambientale nel quale tutti viviamo, cosciente del fatto che nessuno può affrontare da solo le problematiche del mondo globalizzato in cui viviamo.

Si può concludere riflettendo sulla consapevolezza dell’effetto attraente sui pipistrelli degli ambienti antropizzati come importante fattore di rischio per l’insorgere di nuove malattie trasmesse dai pipistrelli sia negli esseri umani che negli animali e di come queste ricerche siano state svolte prima dell’avvento del Covid-19, quasi prevedibile.

Inoltre, incolpare i pipistrelli e i virus che da sempre convivono in equilibrio con i loro ospiti naturali risulta essere deleterio e poco utile al fine di arrivare ad una analisi sulle possibili cause reali di queste emergenze sulle quali l’uomo potrebbe attivamente intervenire.

La sperimentazione animale in Cina

Un fattore di cui si sente parlare raramente e che potenzialmente potrebbe aver contribuito indirettamente alla nascita di varianti di virus, è la sperimentazione animale. Le implicazioni etiche del caso non saranno qui analizzate, poiché svariati sarebbero gli argomenti su cui discutere. L’intento è fornire dati molto frequentemente sconosciuti, partendo dal presupposto che l’utilizzo di animali nella ricerca è stato in alcuni casi fondamentale per la scoperta di soluzioni efficaci, specialmente nello sviluppo di trattamenti o vaccini in risposta a svariati virus.

La Cina ha una tradizione in questo ambito che risale al tempo della dinastia Tang (618-907): si pensa che Chen Zangqi fu il primo farmacologo a ricorrere alla sperimentazione animale in Cina. In seguito, in epoca moderna, ne seguì le orme Qi Changqing, uno scienziato attivo presso l’Ufficio centrale per le vaccinazioni di Pechino. Quest’ultimo effettuò nel 1918 sperimentazioni su topi da laboratorio. Le pratiche ripresero poi nel 1946 in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, utilizzando sempre i topi, dei quali molti erano importati dall’India. Nel 1949 fu fondata la Repubblica Popolare Cinese e la sperimentazione animale continuò ad essere praticata negli anni ’50, con la costruzione di laboratori specializzati nelle città di Pechino e Shanghai. Durante il decennio della Rivoluzione culturale (1966-1976), la sperimentazione animale venne accantonata. Nel 1987, però, venne istituita l’Associazione cinese per la scienza animale da laboratorio, di cui attualmente fanno parte oltre 2800 ricercatori accademici. La regolamentazione per l’amministrazione degli animali da laboratorio risale al 1988. Da quel momento sono state molte le regolamentazioni, ma la pratica resta ancora molto diffusa.

Le statistiche del Ministero della Scienza e Tecnologia della RPC indicano che ogni anno vengono utilizzati in Cina circa dodici milioni di animali per le finalità scientifiche della ricerca medica e tra questi, topi, conigli, porcellini d’India, cani e primati. Inoltre, la RPC è il principale Paese al mondo per l’esportazione di primati per la ricerca. Se negli anni Novanta la media era di 3.000 primati, nel decennio successivo è cresciuta fino a diventare di 40.000. Sono 35 le “aziende” cinesi titolari di licenza per l’allevamento e l’esportazione di primati da utilizzare per scopi di ricerca in laboratori biomedici. Ma esistono anche istituzioni e università straniere che “delocalizzano” la sperimentazione animale in Cina.

Molto spesso si ignora che potenziali rischi di pandemie provenienti da agenti patogeni sconosciuti provengono anche da un settore della ricerca scientifica, chiamata Gain-of Function (GoF). Quest’ultimo consiste nel produrre mutazioni che determinano un guadagno di funzione, appunto. Quindi, modificano il genoma di virus presenti negli animali in natura, con alcuni geni di virus diversi, nel tentativo di prevederne le future mutazioni e capire se potrebbero comportare salti di specie dall’animale all’uomo, e quanto potrebbero essere efficienti nel trasmettersi nella popolazione umana.

La pratica è molto controversa, sia per la pericolosità che la creazione in laboratorio di nuovi patogeni pone, sia per la mancanza di trasparenza e di controllo da parte della società civile, specialmente in paesi come la Cina o la Russia. Ma anche gli Usa. Proprio a Wuhan, in Cina, si trova un laboratorio di Biosicurezza e patogeni speciali in cui si svolgono una serie di studi ed esperimenti proprio sui virus esistenti in natura, modificandoli per capirne il funzionamento.

Non stupisce che la scienza utilizzi questi metodi di ricerca, in molti casi risultano infatti essere fondamentali. Ma c’è sempre un rischio. Un rischio ben calcolato, previsto, ma volutamente ignorato. È il prezzo da pagare. A conferma di ciò, nel 2015 in merito ad esperimenti condotti proprio nel laboratorio di Wuhan, molti virologi si sono espressi affermando che la necessità di questi esperimenti non poteva essere paragonata ai rischi che essa poneva. Non è quindi assurdo pensare che un virus possa uscire dal laboratorio. La scienza, l’evoluzione, la tecnologia, sono giochi d’azzardo: il rischio di danni a lungo termine è molto elevato, ma l’adrenalina che porta il potere di creare, di giocare a fare Dio, è molto più alto e spesso vince su tutto il resto.

Simona Losito

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