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Quindi Irene torna a casa

2 ' di lettura

Ricordate Irene? E’ la ragazza siciliana che la sera di sabato 7 (mentre il governo si apprestava a varare le prime limitazioni fra la Lombardia e Parma) aveva deciso di prendere il treno per tornare in Sicilia, con il volo che aveva già prenotato da alcuni giorni. Una volta tornata, aveva subito segnalato il viaggio alle autorità e si era messa in quarantena, cosa che non le aveva evitato gli insulti di tanti commentatori sui social. Due settimane dopo, l’abbiamo cercata per chiederle come sta e com’è la situazione.

Sto bene. L’ho ripetuto spesso, ad alta voce, ovviamente al telefono. L’ho scritto nei messaggi di chi andava rassicurato, agli amici, molti, che in questi strani giorni, ho ritrovato. La mia quarantena tra migliaia di quarantene, conseguenza degli odiati ritorni.

Sto bene. Del resto, siamo stati tutti consegnati al riparo che dobbiamo tutelare, con l’unica differenza che al netto di indicazioni univoche, siamo riusciti – more solito – a fare parti anche stavolta. Io giusto, tu sbagliato. Io buono, tu cattivo. E su questa dicotomia necessaria abbiamo trascorso il nostro tempo. Persino io, che per giorni ho cercato una giustificazione assoluta a un gesto che è sempre stato in mio diritto compiere…

Sto bene. Se importa agli odiatori. Così virulenti e pieni di livore, da procurare tutti insieme, solo noia. Come se un prezzo da pagare non l’avessi avuto anche io. Ma ho compreso, ho accolto, ho taciuto e chi invece ha scelto di distinguere, mi ha promesso un caffé. Entrambi mi hanno insegnato qualcosa: che bisogna avere la pazienza di spiegare e che bisogna rimanere onesti, anche quando la nostra storia è miseria.

A chi urla “Bestie”, disteso in terrazza a prendere il sole, non ho più niente da raccontare. Sto bene. E tuttavia, non consegno nessun epilogo. Tra gli innumerevoli furti di questo grave momento, viene a mancare anche il tempo. Non sussistono scadenze infatti, per l’anomalia che stiamo vivendo. A scandire le mie giornate è piuttosto la fiammella di una stufa a gas, che mi tiene compagnia mentre leggo o per lo più, guardo il muro. Lì, nello spazio nullo dove si posano i miei occhi, si compie la battaglia più ardua.

Non è come la guerra – abbiamo letto da più parti – abbiamo il cibo e la televisione. Per chi rifugge il silenzio e i pensieri tra canzoni, crostate e fake-fitness, può darsi. Ma avere il mostro alle spalle non significa che non stiamo combattendo già: come fai, costretto a casa, con l’agenda sbiadita e la vita rimandata, a non incontrarti e scontrarti con te stesso? Se ti sei accorto di non piacerti, o che magari non sei contento, soddisfatto, forte abbastanza? E non è questa forse una storia che merita tutta la nostra attenzione? Specie perché – stronzi e non – accomuna tutti gli onesti.

Quindi Irene torna a casa, volendo. Invero, aspetterò ancora un po’: ci sono questioni aperte, con la vita e con la morte, con i miei dubbi e le convinzioni che ho perso quella notte. Desidero riconciliarmi dopo tutto questo male, ma il bosco è ancora fitto.

Sto bene. Per maggiori dettagli rivolgersi al cielo.

Irene

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